Senza dubbio le numerose Carte e Convenzioni internazionali promulgate a favore del bambino riflettono e testimoniano come il mondo adulto, con il passare del tempo, sia diventato consapevole del bambino come soggetto di diritti.
Il bambino è riconosciuto come un’autonoma persona con una propria personalità, soggetto che deve essere valorizzato per quello che è in questo momento (e non solo per quello che diventerà).
Mi domando se sono solo questi i diritti dei bambini, se accanto ai bisogni primari (di essere accudito, di mangiare, di bere, di vestirsi, di ripararsi,…) non ci siano altri diritti e bisogni magari non così palesemente evidenti ma comunque sempre fondamentali.
Penso ad esempio all’amore, all’affetto, ma non solo: all’importanza di un solido rapporto con i genitori, al diritto del bambino ad avere dei genitori presenti (che dipende relativamente con il fatto che oggi mamma e papà passino molte ore fuori casa per lavoro), ed ancora al diritto alla sicurezza affettiva e psicologica che va di pari passo con il diritto del bambino ad avere fiducia nei propri genitori che si tradurrà poi nell’avere fiducia nel mondo, al diritto di avere e coltivare relazioni al di fuori dell’ambito ristretto della famiglia,…
La questione, già molto complessa, si complica ulteriormente nel momento in cui, pur considerandoli tutti come fondamentali, questi diritti vengono dichiarati e riconosciuti in una società fortemente contraddittoria.
Si parla di diritto al movimento in una società in cui lo spazio è sempre meno a misura di bambino e si fa sempre più invivibile (impensabile oggi giorno poter giocare in strada o nelle piazze); si parla di socialità in una società che valorizza l’individualismo e la competitività a discapito dell’altruismo e della cooperazione; si parla di diritto alla creatività in una società improntata al conformismo, all’omologazione di un sapere il più delle volte intriso di pregiudizi e stereotipi; e ancora si parla di diritto alla parola , di pensare con la propria testa, in una società mass-mediologica fondata sul “monologo” (si pensi ad esempio alla televisione, dove il telespettatore è costretto a subire passivamente senza alcuna possibilità di ribattere).
Quando si parla dell’infanzia si fa sempre riferimento, si pensi ancora alla televisione, al bambino abusato, maltrattato o al contrario al bambino sempre felice e senza problemi com’è proposto dalla pubblicità.
Ci si dimentica quasi totalmente del bambino nel “qui e ora”, del bambino che ci scorazza in giro per casa, del bambino “comune” con le sue gioie ma anche le sue frustrazioni e i suoi problemi, il suo carico di vissuti ed emozioni, la sua peculiare originalità.
Credo che il riconoscimento a livello giuridico di alcuni dei diritti del bambino è da considerarsi solo l’inizio.
Affinché un diritto, un bisogno venga appagato ci deve essere qualcuno (l’adulto) che si impegni concretamente perché i benefici derivanti dai diritti siano goduti appieno dal bambino.
La società, il singolo adulto, ha il doveroso compito di assumersi coscientemente la propria responsabilità verso il bambino e i suoi bisogni, cosicché si possa iniziare a percorrere il lungo cammino per “restituire l’infanzia all’umanità”1.
1L. Santucci, La letteratura infantile, Fabbri, Milano 1958, p. 340
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