Ancora una volta, si è levata accorata la voce dei genitori di Yara, questa volta rivolta contro coloro che sfruttano la memoria della figlia per vendere più copie e fare audience in televisione.
I giornalisti italiani – è noto – non conoscono la pietà e il rispetto, e la richiesta dei genitori di Yara di smettere di pubblicare e trasmettere video che ritraggono la loro bambina mentre danza felice, ne è l’ennesima dimostrazione.
Yara deve ancora trovare sepoltura, ma il silenzio dovrebbe scandire i giorni che mancano ad un funerale che ci auguriamo che l’intera comunità di Brembate voglia celebrare tenendo a distanza chi finge commozione per lo stipendio che gli nassa il giornale o il telegiornale.
Yara è lontana, in un mondo in cui nessuno potrà più farle del male, ma i suoi familiari vivono nel ricordo che le immagini di lei, danzante, sorridente, felice, rendono straziante.
Non serve un grande senso di umanità per comprendere che vedere Yara, felice, rinnova il dolore, lo rende più atroce, accresce la consapevolezza dell’assenza, del ritorno a casa che non ci sarà mai più.
I campioni dell’italico pietismo non lo comprendono, perché non sanno cosa siano la pietà e il rispetto.
Sono lì, pronti a riversare fiumi di parole sull’assassino o sugli assassini di Yara, disposti ancora ad usarla per i loro fini, per vendere la loro merce avariata calpestando il ricordo di una bambina uccisa e il dolore dei suoi familiari.
Sono molte le considerazioni amare che la morte di Yara obbliga a fare.
Da quelle relative all’incapacità di questa società a difenderla, perché priva di un deterrente efficace, a quelle dell’inidoneità degli investigatori ormai capaci di risolvere un caso solo se le telecamere riprendono la scena del crimine o se il Dna gli fornisce la soluzione, all’assenza della politica che non interviene, che si mantiene distante da una tragedia che colpisce tutta la collettività nazionale perché è la ripetizione di tante altre simili a questa, al ruolo di una Chiesa che si è ridotta a parlare solo di bontà e di perdono dimenticando che Dio, prima di ogni altra cosa, è giusto.
Le svilupperemo, una per una, perché è doveroso farlo nel rispetto dei sentimenti dei genitori e dei familiari di Yara, dai quali viene l’esempio di una dignità che sembrava perduta in questo Paese dove si va ai funerali per applaudire e mettersi in fila nella speranza di essere intervistati.
Li abbiamo ammirati per la compostezza con la quale hanno vissuto e stanno vivendo la loro tragedia, per il loro riserbo, il loro silenzio, la difesa degli altri figli mai offerti alle telecamere, il dolore immenso che non travalica le mura della loro casa.
Italiani di un’Italia che va scomparendo, ma che ancora esiste e resiste, i genitori di Yara dovrebbero essere portati ad esempio per tutti i concittadini di questo Paese dove l’ambizione più grande dei più è apparire in televisione.
Noi lo facciamo e non 1i dimenticheremo, neanche quando i riflettori di quella che ci sentiamo di definire la canea giornalistica si saranno spenti.
Non si estinguerà il nostro rispetto per loro, non si spegnerà il ricordo di Yara perché vogliamo che abbiano giustizia in un Paese che non ha più giustizia.
Vincenzo
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