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Posts Tagged ‘violenza’

 

 

Sempre più spesso emergono episodi di violenza gratuita su bambini ospiti negli asili nido.

Non ci prestiamo al gioco al massacro della stampa che subito li ribattezza “asili dell’orrore”, perché l’orrore non c’è, sostituito dall’indignazione verso comportamenti che non possono trovare, per l’età delle vittime, alcuna giustificazione.

Non si strattonano i bambini, non si percuotono, non si prendono a schiaffi perché nella loro tenerissima età è delittuoso usare violenza che non serve ad educare perché non comprendono le ragioni per la quale la subiscono.

Non riusciamo a. comprendere come si possa colpire, anche senza eccedere, bambini di pochi mesi o di qualche anno di età la cui vista può solo ispirare tenerezza e smorzare ogni ira.

Dobbiamo chiederci cosa accade a donne in apparenza normalissime, quando vengono colte da raptus di violenza che non sono in grado di controllare. Odio per i bambini? Pensiamo che si possa escludere tale ipotesi.

Problemi familiari, depressioni, rigetto del lavoro che fanno, non tale da generare soddisfazione ma, viceversa, frustrazioni di ogni genere?

Le cause possono essere molteplici, variare da individuo ad individuo, ma hanno poco valore se raffrontate alle conseguenze che derivano dalla violenza con la quale si manifestano.

Nessun bambino ha riportato lesioni, perché la violenza è comunque contenuta, rapportata all’età delle vittime, ma è proprio necessario far sperimentare a bambini in così tenerissima età la malvagità e le brutture della vita?

E’ un’età, la loro, in cui dovrebbe essere cullati nella illusione che la vita è dolcezza, bontà, carezze, è quel sogno che nessuno è mai è riuscito a tradurre in realtà per gli uomini.

Quel Paradiso dove il bambino è circondato da angeli che ridono quando lui ride, che lo consolano quando piange, che lo stringono fra le braccia, che lo vegliano quando dorme.

La colpa, vera di queste donne e della loro violenza è proprio quella di far conoscere anzitempo ai bambini il dolore procurato da altri, la paura, l’ansia, la comprensione che l’Eden non esiste, che alle loro braccine tese per ricevere un bacio ed un abbraccio si può rispondere con uno schiaffo che fa male, fuori e dentro.

Non si uccidono i sogni dei bambini. Magari è proprio questa riflessione che andrebbe indotta, non solo negli asili nido, in chi si occupa di infanzia, quelle che vede i nostri bambini vivere la loro favola che noi adulti sappiamo quanto breve essa sia.

Lasciamo che vivano nella loro fiaba dove la luce del giorno è sempre dorata, la mamma è bella, papà è forte, gli adulti sono angeli magari stravaganti ma tanto, tanto buoni.

Vogliamo fare in modo che fino a 3 anni di età, i nostri figli credano alla bellezza della vita ed alla bontà degli uomini?

Insieme a tutti gli insegnamenti sulla crescita del bambino, l’alimentazione, i pannolini ed i pannoloni, che sono necessari per dare benessere ai tenerissimi infanti, sarà forse il caso di impartirne un altro, quello che permetta di ripercorrere la via dei sogni che, ogni adulto ha fatto da bambino.

Riscoprire i propri sogni infantili e ricordare quanta amarezza e quanto dolore è costato vederli andare in frantumi, un poco per volta, può addolcire l’animo dell’adulto, fermare il braccio che sta per colpire, perché comprenda il delitto che sta per compiere e non vorrà che in quegli occhi che ancora lo guardano con fiducia e serenità appaia dopo la paura, il sintomo inequivocabile del sogno spezzato.

E non c’è norma del codice penale che preveda la punizione di questo delitto.

Prevediamola. Accanto ai delitti contro i beni, la morale, la persona, inseriamo quello contro il sogni dei bambini e della loro innocenza, da punire senza indulgenza.

Forse, il mondo potrà fare un passo avanti sulla via della civiltà.

Vincenzo

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Nel breve volgere di una settimana si sono svolte due manifestazioni che hanno avuto entrambe lo scopo di contrastare la violenza e la morte.

E’ stata celebrata, da un lato, la Giornata contro la violenza sulle donne e, dall’altro, la Giornata contro la pena di morte indetta, quest’ultima, dalla Comunità di Sant’Egidio.

A levare la loro voce contro questa e quella, la violenza sulle donne e la pena di morte, sono stati gli stessi personaggi che si rappresentano, in questa maniera, come gli alfieri ed i difensori della civiltà odierna.

I telegiornali hanno snocciolato le cifre della violenza contro le donne, impressionanti per qualità e quantità, fra i quali spicca quello riferito alle donne uccise in 11 mesi: 115.

Centoquindici vite spezzate per sempre da mariti, fidanzati, conviventi, violentatori, bulli, rapinatori ecc. ecc.

Centoquindici assassini per i quali, quando arrestati, si è già messo in moto il meccanismo giudiziario e penitenziario che deve assicurare, il primo, una pena che dia a costoro la possibilità di essere reintegrati, in futuro, nella società, garantita dal secondo che assicura una rieducazione presunta ed un ravvedimento provato solo dalle parole e mai dai fatti.

Nel momento in cui centoquindici bare venivano calate nelle fossa, lo Stato volgeva il capo verso gli assassini e li rassicurava sulla loro possibilità di rifarsi una vita, di uscire dal carcere per coltivare i rapporti affettivi, di trovare magari un’altra donna che potrà consolarli per gli anni di carcere che, comunque, saranno costretti a fare.

E’ la logica del perdonismo esasperato, dell’indulgenza ad ogni costo, portata avanti da quanti hanno identificato la civiltà e la modernità con l’ impotenza dello Stato e della società dinanzi a quanti si ritengono in diritto di compiere crimini, anche i più atroci, salvo invocare il loro diritto alla vita e alla libertà.

Le classi dirigenti, oggi, hanno un solo impegno cancellare la parola giustizia per sostituirla con quelle di “clemenza”, “perdono”, “rieducazione”, nel tentativo di convincere il popolo che la sola giustizia è quella buona, che assolve, che condanna a pene miti, che comprende le ragioni degli assassini e salvaguarda i loro diritti, primi quello alla vita e alla libertà.

La lotta contro la pena di morte, vista come espressione di inciviltà e di barbarie, si propone esattamente questo obiettivo, quello di poter dire a chiunque che può delinquere, che può uccidere con la consapevolezza che lo Stato saprà comprendere ed aiutarli a riconoscere il loro errore perché possano tornare liberi e mondi dal peccato in una società attonita ma impotente.

In tutto questo manca qualcosa di sostanziale, quel senso di giustizia che ha accompagnato per millenni gli uomini di tutte le razze e che da mezzo secolo, si cerca, in tutti i modi, di cancellare.

Tutte le pene hanno una funzione preventiva e repressiva insieme, perché si rivolgono agli uomini per ammonirli e dissuaderli dal compiere reati che, quando commessi, trovano la loro sanzione certa, sicura, implacabile.

Lo Stato si rivolgeva agli uomini anche per dire che, ove non fosse stata sufficiente l’educazione, la religione, la morale, interveniva la giustizia che, provata la colpa, procedeva con massima severità nei confronti dei colpevoli.

Lo Stato s’imponeva, dunque, il compito di disarmare la mano di quanti, per motivi quasi sempre futili se non abietti, potessero sentirsi autorizzati ad uccidere innocenti.

Oggi, le classi dirigenti ritengono che non la mano degli uomini ma quella dello Stato che, nelle sue funzioni ha quella di proteggere la vita ed i beni dei cittadini, deve essere disarmata.

E’ lo Stato che sale sul banco degli imputati in veste di criminale perché non si può togliere la vita ad uomo, in quanto la vita è sacra, ecc. ecc.

Il rispetto per la vita, la persona e i beni altrui s’insegna, nelle famiglie, poi nelle scuole, fa parte integrante dell’educazione e della formazioni civica di ogni cittadino.

Ogni Stato che si rispetti svolge questa attività educativa alla quale, segue, necessariamente, una di carattere repressivo quando la prima si è rivelata inefficace per quanti ritengono di essere in diritto di infrangere le regole della civile convivenza.

La pretesa di dichiarare criminale lo Stato che punisce e considerare un “bravo ragazzo” che ha “sbagliato” chi commette reati che giungono fino all’omicidio, può appartenere solo a coloro che vogliono distruggerla società, non edificarne una nuova e migliore.

La pena di morte, come ogni altra pena, ha un valore dissuasivo meno per una minoranza di uomini che sono fisiologicamente portati al crimine.

Ma, se l’ombra del patibolo non costituisse un deterrente efficace, la pena di morte rappresenterebbe un atto di giustizia, vera, autentica, quella che non ritiene che un omicida di bambini debba sopravvivere ai piccoli innocenti che ha massacrato, semplicemente perché la sua vita non ha più ragione d’essere.

Non è tollerabile che, da un lato, si pianga su centoquindici bare fingendo di non sapere che molte fra queste sarebbero rimaste vuote se gli assassini fossero stati consapevoli di andare incontro, per il loro crimine, a sanzioni estreme.

Non si può prevenire la violenza contro le donne stampando una guida che insegni a queste ultime come riconoscere a tempo le intenzioni dei loro aggressori e dei loro uccisori.

Perché questa è la risposta dello Stato, questo lo scudo che dovrebbe proteggere le donne dalla violenza e dalla morte.

Se stare dalla parte degli innocenti è barbarie, se ritenere che la vita di donne, bambini, innocenti abbia valore e quella dei loro assassini no, allora è onorevole dichiararsi barbari, scegliendo di stare dalla parte dei giusti e della giustizia.

Vincenzo

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Era prevedibile che sulla donna iraniana condannata a morte per concorso nell’omicidio del marito e per adulterio, si scatenasse l’abituale campagna stampa contro un Paese che, in definitiva, ha una sola colpa: quella di essere annoverato fra i nemici dell’Occidente.

Le leggi islamiche sono, difatti, in vigore anche in altri Passi, dove vengono applicate con lo stesso rigore senza che questo scateni campagne umanitarie che urterebbero la sensibilità e la suscettibilità di governi amici dell’Occidente.

L’Arabia saudita, dove la sharia è legge di Stato, non è mai stata oggetto di attacchi politici e mediatici da parte dei Paesi occidentali per i quali, evidentemente, i diritti umani vanno difesi solo in quei posti dove le contingenze politiche lo richiedono.

Nessuno ha mai visto i politici italiani e la stampa mobilitarsi contro l’uso di far sfilare una donna nuda per le strade, come in uso in certe zone del Pakistan, amico degli Stati uniti, per punirla di comportamenti sessuali illeciti.

Lunga sarebbe la lista delle pene inflitte alle donne nei Paesi governati dagli amici e dagli alleati degli Stati uniti, delle quali nessuno osa parlare e, tantomeno, chiede di condannare.

Ma, quello che qui interessa è porre in rilievo come si usa una tragedia umana, come quella che coinvolge una donna, per un uso politico fingendo di non sapere che la condannata è stata giudicata da un Tribunale, nel rispetto dei suoi diritti alla difesa, che ha ammesso le sue responsabilità, che è detenuta da quattro anni, che, infine, se sarà uccisa pagherà per le sue colpe dinanzi alla giustizia del suo Paese di cui lei conosce le leggi e le pene.

Quante donne, in Italia ed in Europa, negli stessi giorni in cui scattava la mobilitazione politica e mediatica per la donna iraniana, sono state uccise per motivazioni varie e in modi diversi?

La differenza fra queste donne e quella iraniana è che loro sono state “giustiziate” innocenti, senza colpa, vittima di una barbarie che la giustizia occidentale non riesce più a contenere, per il massimo delle sue leggi, per la mancanza di senso della giustizia per il quale oggi l’assassino ha il diritto di ritornare nella società e riprendere il suo posto, dopo aver scontato una pena che spesso è irrisoria.

Alle donne italiane è rimasto il dovere di morire,ai loro assassini il diritto di vivere per essere recuperati alla società civile!

E’ un incitamento alla violenza ed all’omicidio, questo modo di intendere la giustizia per la quale i morti hanno il torto di essere morti, e i vivi che li hanno ammazzati hanno il diritto di “rifarsi una vita” perché, purtroppo, qualche anno di galera devono ancora farglielo fare, anche se stanno tentando di tutto per risparmiargli anche quello.

La vicenda tragica della donna iraniana ci pone dinanzi all’evidenza di due modi diametralmente opposti di concepire la giustizia: quello iraniano, dove chi uccide può essere ucciso, e quello italiano dove chi ha ucciso viene intervistato in televisione e, alla fine, gli fanno anche il film.

Inoltre, in Iran, secondo la legge islamica, la donna può salvarsi se i familiari della vittima le concederanno il loro perdono, perché solo a questi ultimi è riconosciuto il diritto di perdonare, mentre da noi lo rivendicano e lo esercitano direttori di carcere, magistrati di sorveglianza, politici e giornalisti, nessuno dei quali ha mai conosciuto la vittima.

Quante volte abbiamo ascoltato le parole accorate dei familiari delle vittime chiedere giustizia? Quanto volte li abbiamo sentiti recriminare perché gli uccisori dei loro cari erano già tornati in libertà, protervi ed arroganti?

Prendiamo, quindi, esempio dalla vicenda umana della donna iraniana per la quale non facciamo fatica ad esprimere l’augurio che possa comunque vivere, per riflettere sulle condizioni della nostra giustizia e del modo con il quale difende le donne.

Quanti uomini per i quali sparare, accoltellare, strangolare una donna è stata cosa facile, spiegandola con i motivi passionali, quasi che si possa far credere che sia l’amore ad indurre ad uccidere e non l’odio, si sarebbero fermati dinanzi alla prospettiva di essere a loro volta uccisi?

Nessuno pubblicizza il fatto che ad occuparsi del codice penale in Afghanistan, ci sono esperti italiani che lì fanno l’esatto contrario di quello che fanno qui: difatti, il codice penale afghano prevede la pena di morte e la fustigazione, che evidentemente sono ritenute compatibili con la civiltà di quel popolo.

Dato che l’Afghanistan attuale è sotto il controllo americano e della Nato, tutto appare lecito, compresa la condanna a morte e la fustigazione delle donne, comminate con l’avallo dell’Italia.

La falsità della politica e della stampa è cosa nota, ma si potrebbe cominciare a chiedere che si ristabilisca qui la giustizia, oggi inesistente.

Si potrebbe iniziare a pretendere che la difesa delle donne e dei loro corpi violati e maltrattati si faccia qui con lo stesso rigore che esiste in quei Paesi dove la vita umana ha ancora valore, dove non si può impunemente uccidere degli innocenti e dove ancora oggi si paga con giusta severità la violenza esercitata sulle donne.

Si, perché oggi si strepita per la vita della donna iraniana, ma da sempre si tace sulle condanne a morte degli uomini che hanno ucciso e violato delle donne.

Non sarebbe sbagliato proporre un referendum femminile per decidere quali pene infliggere ai carnefici delle donne. Le prime ad uscirne condannate sarebbero la politica e la giustizia attuale.

E, magari, per la prima volta, vedremo in televisione apparire qualcuno che dichiari come sia prioritaria la difesa della vita delle nostre donne innocenti, rispetto a quella di una donna colpevole di omicidio in un Paese lontano.

Sarebbe un primo decisivo passo per resuscitare la giustizia in Italia ed innalzare una prima, concreta barriera a difesa delle nostre donne.

Vincenzo

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Un corpo da sfruttare. L’uso che la cosiddetta civiltà occidentale fa del corpo delle donne e solo strumentale, serve a vendere prodotti, ad aumentare l’audience, a far affluire spettatori al cinema, a procurare voti ai partiti, a far fare carriera ai mariti, ai fidanzati e agli amanti.

Nella società post-femminista, lo spettacolo dello sfruttamento della donna, per quello che essa vale sul piano fisico ed estetico ha superato i limiti del tollerabile.

Non c’è un solo campo, ormai, in cui la donna non sia presa a pretesto per qualsiasi cosa, perfino per attaccare i regimi ostili all’Occidente.

Non vogliamo entrare nel merito dei torti e delle ragioni della contrapposizione fra i paesi dell’Unione europea, Israele e Stati uniti, da un lato, e la Repubblica islamica dell’Iran, dall’altro, ma ci chiediamo se anche in politica estera per fomentare l’ostilità nei confronti del “nemico” è necessario utilizzare soprattutto le donne ed il loro corpo.

Ci avevano provato con Neda, la sedicenne rimasta uccisa nel corso di scontri fra la polizia iraniana e gli oppositori del governo, per poi dover ammettere che il viso bellissimo della ragazza era quello di un’altra, viva e vegeta.

Perché, per toccare il cuore degli uomini, la donna deve essere anche bella e, da quelle parti, le leggi islamiche non consentono l’esibizione del corpo, ma solo del viso.

Ci stanno ritentando oggi, con il caso di una donna di 43 anni, condannata a morte per concorso in omicidio. Anche di questa hanno trasmesso in televisione la foto di una donna certamente bella, ma che nessuno garantisce che si tratti della protagonista, di una storia tragica sulla quale a noi appare indegno speculare.

Sarà perché lo sciacallaggio non ci appartiene, ma assistere allo spettacolo della mobilitazione dell’opinione pubblica per salvare la vita a questa donna, affermando che ha confessato in televisione la sua colpa perché torturata, che sarà lapidata perché colpevole di aver intrattenuto rapporti sessuali illeciti con due uomini, ritenuta colpa prevalente su quello dell’omicidio, ci pare eccessivo,anzi inaccettabile.

Soprattutto perché di donne uccise per reati per i quali è prevista la pena di morte nei paesi arabi e in tutti gli altri che la contemplano, sono piene le cronache. Solo che di queste donne non parla nessuno.

All’ Occidente non interessano le donne saudite, pakistane,yemenite, cinesi, irachene ecc. che finiscono dinanzi ai Tribunali per rispondere di crimini che contemplano condanne a morte e punizioni corporali.

Di tutto questo si parla, falsificando la realtà, sono se riguardano donne iraniane o afghane, vittime queste ultime ovviamente, degli immancabili talebani.

E tutte le altre? Se i governi dei loro paesi sono alleati degli Stati uniti e amici di Israele e dell’Unione europea, possono morire senza una parola di difesa e di pietà.

L’uso della donna e del suo corpo è ritenuto funzionale solo contro i nemici di una civiltà che è difficile, ormai, riconoscere come tale specie per il modo in cui tratta le sue donne.

Ci sono realtà diverse da quelle imposte a noi, così se in Iran, in Arabia saudita, Pakistan e così via una donna che uccide può essere a sua volta, uccisa dalla Stato in nome di una giustizia che ben conosciamo perché è stata anche nostra e non nei secoli passati, perché la pena di morte in Italia è stata abolita solo nel 1947, a maggioranza non all’unanimità ed il suo ripristino è stato più volte sollecitato anche da esponenti politici oggi ai vertici delle istituzioni, tanto ci può ispirare pietà per l’omicida ma non ci consente di giudicare e, tanto meno, di strumentalizzare una tragica vicenda umana per fini politici.

Perché, per equità, la televisione italiana non ci parla delle pene previste per chi violenta le donne e le uccide, in uso in quei Paesi?

Non conviene, visto che in Italia la pena di morte per le donne e le pene corporali, eseguite mediante violenza carnale e pestaggi, sono praticamente quotidianamente ed i loro autori sono condannati a pene irrisorie confortate dalla concessione di tutti i benefici di legge.

Invece, in Italia e non solo, perfino la violenza e l’uccisione delle donne è utilizzata per fare soldi: quanti sono i film e i telefilm quotidianamente trasmessi in questo Paese, in cui ci si compiace di descrivere le azioni di un serial killer di donne, di violentatori all’opera con la ripresa dettagliata delle loro imprese perché bisogna attirare l’attenzione morbosa degli spettatori?

IL corpo della donna attira, meglio se esposto, umiliato, tormentato, torturato. I produttori devono guadagnare, Rai e Mediaset devono vincere la guerra dell’audience, così perfino le presentatrici e le vallette dei quiz televisivi devono mostrare tutto quello che possono, meglio ancora se in sceneggiati, film e telefilm è possibile mostrare meglio e di più in scene di morte, di sesso e violenza.

Sarebbe, forse, il caso di introdurre una legge che vieti le scene di violenza sulle donne, specie quando nessuno ci mostra le punizioni dei violentatori, così che si esibisce il reato ma non il castigo, con il risultato di incentivare le violenze non di farle diminuire.

Invece, per odio politico e fini di bassa propaganda, di parlare della condanna a morte di una donna iraniana, colpevole di omicidio, per suscitare pietà perché non proviamo ad incentivare la pietà per le nostre donne in questo Paese?

Donne uccise, innocenti, perché non hanno ucciso nessuno; donne violate, calpestate, umiliate, pestate in nome di consuetudini radicate mai eliminate dalla coscienza degli uomini per i quali, forse, sarebbe il caso di ricorrere a quelle pene coraniche di cui nessuno mai parla.

Non si può fare? Ma, almeno, inaspriamo le nostre ed imponiamo il rispetto per il corpo delle donne che è la fonte della vita, non il mezzo per vendere dentifrici, aumentare l’audience, fomentare l’odio contro gli stranieri.

La donna è la vita, la sua bellezza, la sua tenerezza,il suo fascino se la sua essenza.

Difendiamola.

Vincenzo

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