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Posts Tagged ‘Anna Maria Franzoni’

I telegiornali danno la notizia, con il solito tono neurale, della madre che, a Bari, dopo aver litigato con il compagno, ha massacrato il figlio di 7 mesi, ora ricoverato in fin di vita.

Forse, apparteniamo ad un’altra epoca, veniamo da un mondo lontano nel quale un episodio del genere avrebbe suscitato un orrore vero, spontaneo, non stimolato dall’ascolto dei telegiornali, così che pensiamo ad un piccolo essere umano di 7 mesi, che suscita tenerezza solo a guardarlo, massacrato dalla madre.

Abbiamo perso il conto degli episodi terribili di questo genere. Non è possibile contarli, ripercorre con la memoria quali e quanti in questi anni giornali e televisioni ci hanno raccontato senza suscitare emozione ed indignazione.

Ad essere sinceri, la stampa e la televisione si sono impegnate, a volte, a favore degli assassini, come nel caso di Anna Maria Franzoni che, dopo aver massacrato suo figlio, si è addirittura preteso che il presidente della Repubblica le concedesse subito la grazia per evitarle di scontare la condanna a 16 anni di reclusione alla quale dopo anni di battaglie mediatiche, era stata infine condannata.

E i bambini?

Quando si decide, sempre più raramente, di suscitare l’indignazione lo si fa per ragioni strumentali, come nel caso del bambino sequestrato ed ucciso da Mario Alessi, in un momento in cui la Chiesa era impegnata ad affermare la “sacralità della vita”.

In quel caso, si spinse lo zelo mediatico a trasmettere in televisione le immagini del funerale. E così tutti abbiamo avuto modo di assistere allo spettacolo tristissimo dei genitori che attendono, come attori che recitano, che si dia il via le riprese per far prendere la piccolissima bara bianca dal furgone mortuario, giunto in anticipo sull’orario, per portarla in chiesa.

Mai spettacolo più doloroso è stato quello di vedere il furgone fermo sulla strada, dinanzi alla chiesa, circondato da migliaia di persone, tutte immobili in attesa che il regista segnalasse che la diretta televisiva era iniziata.

La morte come spettacolo deve indignare ed emozionare a comando, caso per caso.

Non troviamo quindi sorprendente che, dinanzi all’indifferenza sostanziale, dell’opinione pubblica i delitti contro l’infanzia, sempre più spesso compiuti da padri e madri, si moltiplichino, fino a rientrare quasi nella normalità come furti e rapine.

Il copione lo conosciamo: la mamma assassina andrà in ospedale psichiatrico perché depressa, al momento dell’omicidio, il padre assassino invocherà le attenuanti generiche e magari, anche lui, la semi-infermità mentale.

La recita stanca. I bambini li seppelliscono e se ne ricordano, ogni tanto, per le statistiche o quando, guarda caso, non fanno vedere l’intervista a qualche madre che, ovviamente, si tormenta per il rimorso.

Ma lei vive, suo figlio no.

Da quanti anni, ormai, la moda corrente in questo Paese è l’esibizione del rimorso, del pentimento, del pianto di quanti hanno ucciso senza pietà i loro figli, senza che mai ci sia la possibilità di comprendere quanto siano sinceri quei sentimenti che ostentano dinnanzi alle telecamere.

E’ la moda del pietismo ad ogni costo, del perdonismo ad oltranza, del ravvedimento obbligatorio di cui, però, possono beneficiare solo i vivi, mai i morti.

Nesun pensiero per quei bambini che si erano appena affacciati alla vita per essere spazzati via dalla ferocia omicida di adulti che non provano pietà, ma sanno di poterla chiedere e di poterla ottenere da una società che ha smarrito il senso morale e, con esso, quello della giustizia.

E se tornasse di moda l’indignazione?

Se questo popolo trovasse la forza di scuotersi di dosso il giogo mediatico del pubblico pietismo alimentato da preti, sociologi, politici, giornalisti e tornasse ad avvertire un senso di rivolta contro chi uccide i bambini, almeno contro chi uccide i bambini?

Se chi non trova di meglio per sfogare le proprie frustrazioni che uccidere innocenti senza difesa, vedesse profilarsi nel suo futuro non l’occhio della telecamera e il microfono offerto da un compiacente giornalista per raccontare il proprio rimorso non provato né provabile, ma l’ombra di un patibolo non sarebbe il deterrente più efficace per proteggere l’infanzia?

Domande alle quali sarebbe doveroso dare risposte non demagogiche, ma pertinenti alla realtà in cui viviamo, sincere, smettendosi di fingersi moderni e quindi “civili” quasi che la modernità debba comportare l’ignominia di incrementare i delitti o l’impotenza del reprimerli.

Se le risposte fossero spontanee, noi riscopriremmo che la legge più antica è ancora oggi la più giusta: vita per vita.

Se i conclamati e proclamati, a mezzo stampa, rimorsi distruggono la vita di chi ammazza bambini, senza però mai indurli al suicidio, rimangono valide le parole con cui un pubblico ministero, negli anni Trenta, esortò la giuria popolare di una Corte di assise a condannare a morte l’autore di un parricidio:

Abbiate pietà, non lasciatelo vivere”.

Lasciamo vivere gli innocenti, non chi li uccide.

Vincenzo

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Gli ottimisti e gli sciocchi continuano a chiamarla ancora “società civile”, ma siamo qui a commentare ancora l’omicidio di un bambino di 18 mesi ucciso dal convivente della madre perché pian geva e dava fastidio.
La madre era fuori casa, uscita per acquistare cocaina e, al rientro, non è andata a guardare suo figlio, magari per il bacio della buonanotte, perché aveva la droga e la fretta di assumerla con il suo amante.
Solo al risveglio si è accorta che il suo bambino aveva i suoi grandi occhi azzurri sbarrati e fissi, che era morto.
Il suo assassino aveva assunto la cocaina con lei e con lei aveva dormito, senza provare il benché minimo rimorso, senza avvertire l’ignominia del suo gesto, ben deciso ad accusare la madre di aver ucciso suo figlio.
Un infame lucido, determinato, freddo nel suo agire, incapace di provare emozioni e sentimenti, capace di uccidere un bambino di 18 mesi, non in grado di accennare anche il minimo gesto di difesa.
La chiamano “società civile”, ma già gli avvocati preparano la difesa, decisi a chiedere le attenuanti generiche perché l’omici dio non è stato premeditato ma rientrante in quella categoria detta “d’impeto”, scaturente cioè da un accesso di ira provocato dal pianto insistente del bambino, reso incontrollabile dalla mancanza della cocaina che la donna era andata a comprare.
Che facciamo? Non vogliamo riconoscere a costui le attenuanti della tossicodipendenza?
Non identifichiamo in lui la vittima della società dei consumi, che annulla ogni volontà e spegne ogni sentimento?
Andiamo, ad Anna Maria Franzoni che ha ammazzato suo figlio senza nemmeno essere drogata hanno dato 16 anni di cui, se va bene, farà un terzo in carcere ed il resto con i benefici di legge, quindi cosa si potrà dare a costui in termini di condanna detentiva?
Inoltre,la “società civile” prevede solo una pena detentiva che abbia finalità rieducative e miri al recupero sociale del condannato, di conseguenza anche questo assassino non ha motivo di perdere la speranza.
Per lui ci saranno psicologhe, educatrici, psichiatri, tutti impe gnati a riconoscere, fra qualche anno, in lui i segni del ravvedimento, dei sensi di colpa che lo renderanno meritevole dei benefici di legge.
Ad Angelo Izzo, il permesso premio lo avevano dato dopo poco più di 16 anni di carcere, ma lui scappò in Francia e , quando lo ripresero, dovettero tenerlo ancora in carcere per un altro congruo periodo di rieducazione.
Dopo lo rimisero in libertà e lui uccise due donne, anzi una donna e una bambina di soli 14 anni che non ebbe il coraggio di veder morire, le girò le spalle e si bevve una coca cola.
Forse, anche l’assassino del bambino, mentre aspettava la cocaina, si è bevuto qualcosa, giusto per ingannare il tempo e studiare la di fesa; per dichiarare pentimenti e rimorsi c’è tempo.
La “società civile” italiana si fonda sul “perdono cristiano”. E, quando un bambino muore ammazzato, si fanno i funerali, naturalmente “commossi”, due parole al telegiornale, il predicozzo del prete dal pulpito sull’ “angelo che è volato in cielo”, e poi tutti a mangiare che si è fatta l’ora di pranzo.
Tanto più si parla di bambini, quanta maggiore è l’indifferenza nei loro confronti. Alibi e pretesto di gente che cerca pubblicità o che della loro difesa teorica ha fatto una professione per campare, i bambini non hanno posto nella “società civile”, dove la politica ha incentivato l’uso della droga e ha quasi annullato il senso morale degli italiani.
Non esiste un servizio sociale che intervenga per proteggere i bambini in balia di genitori drogati, socialmente disadatti, malavitosi, indigenti.
Non ci sono per questi bambini asili nido né strutture idonee ad ospitarli o famiglie che vengano sollecitate ad adottarli. Per loro, c’è solo l’abbandono, l’emarginazione, talora la morte che impressiona sempre meno perché diviene un fatto abituale, di ordinaria amministrazione.
In un Paese dove i morti sono, annualmente, più dei nati, con una popolazione avviata ormai all’estinzione, dove i bambini si ammazzano prima di nascere in nome dell’autodeterminazione della donna, anche quelli nati non hanno valore.
E la “società civile” non sa che farsene. Perché chiamarla ancora “società civile”?

Vincenzo

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