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Posts Tagged ‘umanità’

Poche e fugaci immagini trasmesse da un telegiornale nazionale ci hanno fatto vedere l’arresto di un bambino palestinese di lì anni da parte di agenti della polizia israeliana.
Il bambino che tenta di scappare, i poliziotti che l’agguantano e lo scaraventano su un furgone, la madre che batte disperata i pugni sull’automezzo che si porta via il figlio.
Nessun commento da parte dei giornalisti. Solo la precisazione che il bambino dovrà testimoniare sul fratello di 14 anni che è stato accusato di aver lanciato pietre contro la polizia israeliana.
Fine del servizio. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe accaduto se la polizia palestinese avesse osato arrestare, in quel modo, un bambino israeliano di 11 anni, sotto la occhi della madre piangente.
Quindici giorni di dibattiti televisivi, messaggi di sdegno dai rappresentanti dei partiti politici e delle istituzioni, uno spettacolo degno del circo mediatico italiano.
In questo caso, un filmato di tre minuti trasmesso da un solo telegiornale, e poi il silenzio.
Nessuno si è chiesto con quali modalità sarà condotto l’interrogatorio di un bambino di 11 anni da parte della polizia israeliana, impegnata a convincerlo a testimoniare contro il fratello di soli 14 anni.
Nessuno ha scomodato i diritti dell’infanzia, ha chiesto l’intervento dell’Onu e dell’Unicef, ha osato deplorare il comportamento dei poliziotti israeliani.
In un Paese come il nostro, dove un bambino di 11 anni può essere indotto anche ad uccidere e non è considerato punibile, non ha suscitato sdegno il trattamento inflitto ad un bambino palestinese, non ha commosso il pianto disperato della madre.
Sono forse questi bambini quelli che minacciano l’esistenza dello Stato di Israele?
Sono, magari, loro i nemici di uno Stato che conta uno degli eserciti più potenti del mondo?
Dal nostro punto di vista, memori di altre immagini fra i quali l’uccisione di un bambino nelle braccia del padre ad opera dei soldati israeliani, ci sembra che Israele ed i suoi amici in Italia e nel mondo, siano essi i promotori di un odio che non si potrà estinguere fino a quando non si faranno scrupolo a perseguitare ed uccidere bambini.
Vogliamo spendere una parola per loro? Vogliamo chiedere che siano trattati con l’umanità che la loro età esige?
Fiumi di parole ascoltiamo tutti i giorni sulla necessità di difendere i diritti dei bambini nel mondo, ma la Palestina è forse un Paese alieno?
Non ci pare. La Palestina è uno Stato al quale viene negato ancora oggi il diritto di esistere e di vivere in pace, quello palestinese è un popolo che è stato espropriato della propria terra e cacciato in esilio, condannato a scomparire dalla storia.
Restiamo silenziosi, inerti, pavidi perfino di fronte alla brutalità della polizia israeliana nei confronti dei bambini palestinesi, magari fingendo si credere che una volta al commissariato, il “criminale” sarà interrogato ed indotto a testimoniare contro il fratello con coccole e caramelle, e non a bastonate di cui nessuno preferisce sentire il suono che accompagna le sue grida ed i suoi pianti.
Noi non chiudiamo gli occhi, non ci tappiamo le orecchie, non ci sigilliamo le labbra, perché non è opportuno o, più esattamente, non è conveniente criticare i metodi della polizia israeliana che si accanisce sui bambini.
Non è un problema politico, perché difendere i bambini, tutti i bambini ovunque essi vivano, è un problema di coscienza, di umanità e di civiltà.
Denunciamo ciò che i nostri occhi hanno visto e chiediamo che anche Israele sia indotto dalla comunità internazionale a rispettare i diritti dell’infanzia, a garantire la tutela dei minori, ad impiegare le proprie forze di polizia per proteggerli, non per perseguitarli, arrestarli, interrogarli e fare loro violenza fisica e psicologica.
Chiedere il rispetto dei diritti umani dei bambini è un dovere che non si dovrebbe eludere mai perché, in caso contrario, per coerenza, dovremmo abbandonare la pretesa di essere civili.

Vincenzo

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Ancora una volta, si è levata accorata la voce dei genitori di Yara, questa volta rivolta contro coloro che sfruttano la memoria della figlia per vendere più copie e fare audience in televisione.
I giornalisti italiani – è noto – non conoscono la pietà e il rispetto, e la richiesta dei genitori di Yara di smettere di pubblicare e trasmettere video che ritraggono la loro bambina mentre danza felice, ne è l’ennesima dimostrazione.
Yara deve ancora trovare sepoltura, ma il silenzio dovrebbe scandire i giorni che mancano ad un funerale che ci auguriamo che l’intera comunità di Brembate voglia celebrare tenendo a distanza chi finge commozione per lo stipendio che gli nassa il giornale o il telegiornale.
Yara è lontana, in un mondo in cui nessuno potrà più farle del male, ma i suoi familiari vivono nel ricordo che le immagini di lei, danzante, sorridente, felice, rendono straziante.
Non serve un grande senso di umanità per comprendere che vedere Yara, felice, rinnova il dolore, lo rende più atroce, accresce la consapevolezza dell’assenza, del ritorno a casa che non ci sarà mai più.
I campioni dell’italico pietismo non lo comprendono, perché non sanno cosa siano la pietà e il rispetto.
Sono lì, pronti a riversare fiumi di parole sull’assassino o sugli assassini di Yara, disposti ancora ad usarla per i loro fini, per vendere la loro merce avariata calpestando il ricordo di una bambina uccisa e il dolore dei suoi familiari.
Sono molte le considerazioni amare che la morte di Yara obbliga a fare.
Da quelle relative all’incapacità di questa società a difenderla, perché priva di un deterrente efficace, a quelle dell’inidoneità degli investigatori ormai capaci di risolvere un caso solo se le telecamere riprendono la scena del crimine o se il Dna gli fornisce la soluzione, all’assenza della politica che non interviene, che si mantiene distante da una tragedia che colpisce tutta la collettività nazionale perché è la ripetizione di tante altre simili a questa, al ruolo di una Chiesa che si è ridotta a parlare solo di bontà e di perdono dimenticando che Dio, prima di ogni altra cosa, è giusto.
Le svilupperemo, una per una, perché è doveroso farlo nel rispetto dei sentimenti dei genitori e dei familiari di Yara, dai quali viene l’esempio di una dignità che sembrava perduta in questo Paese dove si va ai funerali per applaudire e mettersi in fila nella speranza di essere intervistati.
Li abbiamo ammirati per la compostezza con la quale hanno vissuto e stanno vivendo la loro tragedia, per il loro riserbo, il loro silenzio, la difesa degli altri figli mai offerti alle telecamere, il dolore immenso che non travalica le mura della loro casa.
Italiani di un’Italia che va scomparendo, ma che ancora esiste e resiste, i genitori di Yara dovrebbero essere portati ad esempio per tutti i concittadini di questo Paese dove l’ambizione più grande dei più è apparire in televisione.
Noi lo facciamo e non 1i dimenticheremo, neanche quando i riflettori di quella che ci sentiamo di definire la canea giornalistica si saranno spenti.
Non si estinguerà il nostro rispetto per loro, non si spegnerà il ricordo di Yara perché vogliamo che abbiano giustizia in un Paese che non ha più giustizia.

Vincenzo

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Gli occhi di Mohamad Zakaria Sulliman Salem Hajahjah sono tristi, incorniciati in un visino senza sorriso, consapevole già all’età di sette anni della sua esistenza di profugo palestinese senza futuro e senza speranza.
Fa male vedere la melanconia e la serietà nel viso di un bambino, perché la sua dovrebbe essere l’età della gioia, della spensieratezza, dei giochi felici e chiassosi, ma Mohamad Zakaria non ha mai conosciuto altro che la miseria in cui vive con la sua famiglia, un padre disoccupato, la mamma, due sorelline, una delle quali disabile.
Non può sorridere. E come lui altri mille ed altri mille ancora. Conosciamo tutti la situazione dei palestinesi, profughi nella loro terra, prigionieri di un potere israeliano che non potrà mai riconoscere la pienezza dei loro diritti perché dovrebbe restituire loro la Patria che gli ha sottratto con la forza delle armi.
Ma, ora, non ci interessa entrare nel merito del conflitto mediorientale, perché la nostra attenzione si volge ai bambini che ne sono le prime vittime, le più indifese, le più innocenti per chiederci cosa possiamo fare per loro.
In un terra lontana, non solo geograficamente, possiamo fare quel lo che la solidarietà suggerisce avvalendoci dell’opera preziosa dell’ “Associazione di amicizia italo-palestinese“, con sede a Firenze, in viale Matteotti n. 27, diretta da Mariano Mingarelli e Marina Maltoni.
Un’associazione senza scopi di lucro, apolitica nel senso che non esprime un’ideologia e neanche una posizione politica in senso proprio, fermo restando che è schierata con il popolo palestinese e la sua causa, peraltro condivisibili da tanti, da tutti se tutti conoscessero la storia e la sofferenza di questo popolo.
L’associazione si occupa di bambini, di coloro che innocenti paga no il prezzo più alto di una guerra che l’indifferenza del mondo ha reso eterna e senza fine.
Tante volte, su questo sito, abbiamo parlato dell’infanzia, dei bambini che sono il nostro futuro, che rappresentano l’avvenire di una umanità che non sa più come crescerli e che ostenta spesso nei loro confronti una crudeltà che ricopre d’ignominia un mondo che si definisce civile.
Fra questi bambini dimenticati ed oppressi, spiccano quelli della Palestina di Gaza, dei campi profughi, della miseria e del pianto che nessuno osa mostrare in televisione per timore di apparire anti-israeliano, quando viceversa parlarne ed occuparsi di loro significa semplicemente non rinunciare alla propria umanità in nome della politica.
Faremo per loro tutto quello che è nelle nostre possibilità fare perché lo suggerisce e lo impone la coscienza e l’amore per l’infanzia che consideriamo al di sopra delle parti, dei conflitti, della politica e delle ideologie.
Non sappiamo quanto la nostra azione potrà portare giovamento a questi bambini, ma la porteremo avanti con costanza ed impegno, sperando che un giorno sul viso di uno tanti Mohamad Zakaria si possa scorgere l’ombra di un sorriso ad illuminare i visini tristi e melanconici di chi nulla ha ma avverte la presenza di quanti sono loro vicini nella speranza che per loro ci sia un futuro che non sappia solo di fame, di morte e di prigionia, ma che abbia il sapore della vita e della libertà.

Vincenzo

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