Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘bambini’

 

 

Sempre più spesso emergono episodi di violenza gratuita su bambini ospiti negli asili nido.

Non ci prestiamo al gioco al massacro della stampa che subito li ribattezza “asili dell’orrore”, perché l’orrore non c’è, sostituito dall’indignazione verso comportamenti che non possono trovare, per l’età delle vittime, alcuna giustificazione.

Non si strattonano i bambini, non si percuotono, non si prendono a schiaffi perché nella loro tenerissima età è delittuoso usare violenza che non serve ad educare perché non comprendono le ragioni per la quale la subiscono.

Non riusciamo a. comprendere come si possa colpire, anche senza eccedere, bambini di pochi mesi o di qualche anno di età la cui vista può solo ispirare tenerezza e smorzare ogni ira.

Dobbiamo chiederci cosa accade a donne in apparenza normalissime, quando vengono colte da raptus di violenza che non sono in grado di controllare. Odio per i bambini? Pensiamo che si possa escludere tale ipotesi.

Problemi familiari, depressioni, rigetto del lavoro che fanno, non tale da generare soddisfazione ma, viceversa, frustrazioni di ogni genere?

Le cause possono essere molteplici, variare da individuo ad individuo, ma hanno poco valore se raffrontate alle conseguenze che derivano dalla violenza con la quale si manifestano.

Nessun bambino ha riportato lesioni, perché la violenza è comunque contenuta, rapportata all’età delle vittime, ma è proprio necessario far sperimentare a bambini in così tenerissima età la malvagità e le brutture della vita?

E’ un’età, la loro, in cui dovrebbe essere cullati nella illusione che la vita è dolcezza, bontà, carezze, è quel sogno che nessuno è mai è riuscito a tradurre in realtà per gli uomini.

Quel Paradiso dove il bambino è circondato da angeli che ridono quando lui ride, che lo consolano quando piange, che lo stringono fra le braccia, che lo vegliano quando dorme.

La colpa, vera di queste donne e della loro violenza è proprio quella di far conoscere anzitempo ai bambini il dolore procurato da altri, la paura, l’ansia, la comprensione che l’Eden non esiste, che alle loro braccine tese per ricevere un bacio ed un abbraccio si può rispondere con uno schiaffo che fa male, fuori e dentro.

Non si uccidono i sogni dei bambini. Magari è proprio questa riflessione che andrebbe indotta, non solo negli asili nido, in chi si occupa di infanzia, quelle che vede i nostri bambini vivere la loro favola che noi adulti sappiamo quanto breve essa sia.

Lasciamo che vivano nella loro fiaba dove la luce del giorno è sempre dorata, la mamma è bella, papà è forte, gli adulti sono angeli magari stravaganti ma tanto, tanto buoni.

Vogliamo fare in modo che fino a 3 anni di età, i nostri figli credano alla bellezza della vita ed alla bontà degli uomini?

Insieme a tutti gli insegnamenti sulla crescita del bambino, l’alimentazione, i pannolini ed i pannoloni, che sono necessari per dare benessere ai tenerissimi infanti, sarà forse il caso di impartirne un altro, quello che permetta di ripercorrere la via dei sogni che, ogni adulto ha fatto da bambino.

Riscoprire i propri sogni infantili e ricordare quanta amarezza e quanto dolore è costato vederli andare in frantumi, un poco per volta, può addolcire l’animo dell’adulto, fermare il braccio che sta per colpire, perché comprenda il delitto che sta per compiere e non vorrà che in quegli occhi che ancora lo guardano con fiducia e serenità appaia dopo la paura, il sintomo inequivocabile del sogno spezzato.

E non c’è norma del codice penale che preveda la punizione di questo delitto.

Prevediamola. Accanto ai delitti contro i beni, la morale, la persona, inseriamo quello contro il sogni dei bambini e della loro innocenza, da punire senza indulgenza.

Forse, il mondo potrà fare un passo avanti sulla via della civiltà.

Vincenzo

Read Full Post »

Gli occhi di Mohamad Zakaria Sulliman Salem Hajahjah sono tristi, incorniciati in un visino senza sorriso, consapevole già all’età di sette anni della sua esistenza di profugo palestinese senza futuro e senza speranza.
Fa male vedere la melanconia e la serietà nel viso di un bambino, perché la sua dovrebbe essere l’età della gioia, della spensieratezza, dei giochi felici e chiassosi, ma Mohamad Zakaria non ha mai conosciuto altro che la miseria in cui vive con la sua famiglia, un padre disoccupato, la mamma, due sorelline, una delle quali disabile.
Non può sorridere. E come lui altri mille ed altri mille ancora. Conosciamo tutti la situazione dei palestinesi, profughi nella loro terra, prigionieri di un potere israeliano che non potrà mai riconoscere la pienezza dei loro diritti perché dovrebbe restituire loro la Patria che gli ha sottratto con la forza delle armi.
Ma, ora, non ci interessa entrare nel merito del conflitto mediorientale, perché la nostra attenzione si volge ai bambini che ne sono le prime vittime, le più indifese, le più innocenti per chiederci cosa possiamo fare per loro.
In un terra lontana, non solo geograficamente, possiamo fare quel lo che la solidarietà suggerisce avvalendoci dell’opera preziosa dell’ “Associazione di amicizia italo-palestinese“, con sede a Firenze, in viale Matteotti n. 27, diretta da Mariano Mingarelli e Marina Maltoni.
Un’associazione senza scopi di lucro, apolitica nel senso che non esprime un’ideologia e neanche una posizione politica in senso proprio, fermo restando che è schierata con il popolo palestinese e la sua causa, peraltro condivisibili da tanti, da tutti se tutti conoscessero la storia e la sofferenza di questo popolo.
L’associazione si occupa di bambini, di coloro che innocenti paga no il prezzo più alto di una guerra che l’indifferenza del mondo ha reso eterna e senza fine.
Tante volte, su questo sito, abbiamo parlato dell’infanzia, dei bambini che sono il nostro futuro, che rappresentano l’avvenire di una umanità che non sa più come crescerli e che ostenta spesso nei loro confronti una crudeltà che ricopre d’ignominia un mondo che si definisce civile.
Fra questi bambini dimenticati ed oppressi, spiccano quelli della Palestina di Gaza, dei campi profughi, della miseria e del pianto che nessuno osa mostrare in televisione per timore di apparire anti-israeliano, quando viceversa parlarne ed occuparsi di loro significa semplicemente non rinunciare alla propria umanità in nome della politica.
Faremo per loro tutto quello che è nelle nostre possibilità fare perché lo suggerisce e lo impone la coscienza e l’amore per l’infanzia che consideriamo al di sopra delle parti, dei conflitti, della politica e delle ideologie.
Non sappiamo quanto la nostra azione potrà portare giovamento a questi bambini, ma la porteremo avanti con costanza ed impegno, sperando che un giorno sul viso di uno tanti Mohamad Zakaria si possa scorgere l’ombra di un sorriso ad illuminare i visini tristi e melanconici di chi nulla ha ma avverte la presenza di quanti sono loro vicini nella speranza che per loro ci sia un futuro che non sappia solo di fame, di morte e di prigionia, ma che abbia il sapore della vita e della libertà.

Vincenzo

Read Full Post »

Qualche giornalista italiano ironizza sulla proposta presentata, in Gran Bretagna, dal parlamentare laburista, Graham Allen, di iniziare la preparazione scolastica dei ragazzi fin dall’asilo nido.
Secondo il parlamentare, gli asili nido rientrano nella scuola dell’obbligo “perché lo sviluppo educativo inizia con il parto, non 5 anni più tardi”, quando i bambini iniziano a frequentare le scuole.
A differenza dei giornalisti italiani, non ironizziamo su questa proposta che scopre una realtà che, viceversa, abbiamo sempre affermato, non circoscritta all’apprendimento dell’alfabeto e del far di conto da parte dei piccolissimi, sulla necessità di considerare gli asili nido come scuole a tutti gli effetti, e non parcheggi per bambini le cui madri lavorano o hanno altri impegni che non accudirli.
Una scuola che inizia con la nascita del bambino non è una fantasia, è una realtà viva e concreta perché cosa fanno di diverso gli adulti che accudiscono un bambino in tenerissima età, se non insegnarli, con la necessaria gradualità, i primi rudimenti del vivere in società.
Il bambino, fin dal primo vagito, è un essere pensante, che osserva quanto lo circonda, che apprende a riconoscere chi gli è vicino, che via via allarga il suo campo di osservazione fino a comprendere anche il modo di vivere insieme agli altri, a riconoscere gli oggetti, ad apprendere il loro diverso utilizzo, e così via.
Per il vero, quando un bambino inizia a parlare potrebbe, non solo teoricamente, apprendere a scrivere e a far di conto, perché ne ha la capacità solo che si trovino adulti capaci di condurre bambini di un anno o poco più sulla via dell’istruzione scolastica di base.
Quanti vantaggi potrebbero esserci per i bambini se, divertendosi, potrebbero apprendere a descrivere e a scrivere gli oggetti che sono sotto i loro occhi, a dare un nome non solo orale ai genitori, ai parenti, ai loro amichetti, stimolando la loro curiosità
Ci sono scimpanzè e perfino cani in grado di individuare le lettere dell’alfabeto e, i primi, perfino a comporre parole complete. Perché mai non dovrebbero essere capaci di farlo bambini da un anno in su?
A parte questo, interessa il principio del riconoscimento dell’asilo nido come prima scuola dell’obbligo, dove tutti i bambini dovrebbero essere portati a spese dello Stato, perché apprendano i rudimenti essenziali del vivere civile.
La pretesa che le educatrici dell’asilo nido siano, per convenzione, considerate alla stregua di bambinaie specializzate deve finire perché non è vero.
Le educatrici degli asili nido assolvono un compito che spesso le vede educare i bambini a loro affidati e, contestualmente, impartire ai loro genitori nozioni utili sul come crescerli.
E’ all’asilo nido, se le educatrici sono all’altezza del loro compito, che i bambini iniziano a socializzare con i loro simili e con persone estranee al loro ambito familiare.
E’ sempre all’asilo nido che iniziano ad acquisire autonomia, a mangiare in modo corretto, ad agire con criterio e con una certa disciplina basata sull’affetto delle educatrici e sull’emulazione dei comportamenti.
Non è, quindi, fuori luogo considerare anche la possibilità di insegnare ai bambini nell’asilo nido a riconoscere le lettere e a comporre le prime semplici parole, come “mamma, papà, cane, ecc.” in modo che si appassionino allo “scrivere” e al leggere andando avanti, con la necessaria gradualità, fino a giungere all’età di cinque anni con la capacità di leggere, scrivere e far di conto.
Sarebbe auspicabile che qualche parlamentare italiano si prendesse la briga di imitare il suo collega britannico e di proporre una riforma del sistema scolastico che comprende anche l’asilo nido fra quelle dell’obbligo, rendendolo accessibile a tutti e riqualificando professionalmente il personale che già svolge funzioni educative e docenti.
I bambini ci guardano e da noi apprendono tutto senza attendere che siano gli adulti, nella loro presunzione, a decidere cosa possano e debbano fare e a che età debbano iniziare un scuola che, in effetti, inizia fin dal primo vagito.
Prendiamone atto, una volta per sempre.

Vincenzo

Read Full Post »

Spesso abbiamo dovuto fotografare dalle pagine di questo sito dedicato all’infanzia ed alle donne, l’impietosa realtà di un mondo che calpesta i diritti dei bambini, degli adolescenti e dell’altra metà del cielo.
All’inizio del nuovo anno, nulla ci giunge a conforto della speranza che qualcosa possa cambiare in meglio.
La cronaca di questi giorni ci ripropone le tragedie alle quali ormai siamo assuefatti e che sono divenute strumento di mera speculazione giornalistica.
A giorni, ricomincia su Rai Tre “Amore criminale”, una trasmissio ne dedicata alla ricostruzione di omicidi di donne, ad opera di mariti, conviventi, fidanzati, compagni di vita.
130 ogni anno, in Italia, muoiono in questo modo.
Forse, a nostro avviso, non servirebbe ricostruire le scene agghiaccianti e, spesso, morbose di questi delitti per fare audience, quando sa rebbe necessario dire se e come sono stati puniti i loro assassini, quando individuati e giudicati.
Parole amare potremmo scrivere su questo sfruttamento del delitto e delle vittime, oltraggiate anche dopo la morte, ma vogliamo iniziare il 2011 in altro modo, dedicando il nostro pensiero ai bambini e alle donne che vivono nella quotidianità di una vita, a volte precaria e difficile, con la forza ed il coraggio di chi non accetta un destino che li vuole eternamente subalterni, vuoi per età vuoi per sesso.
Nulla intenerisce più del sorriso dei bambini, dei loro sguardi limpidi, delle vocine ancora incerte che iniziano il cammino della vita, accompagnati dalla guida di genitori che li ritengono il fine ultimo della loro vita e li amano come i padri e le madri sanno amare.
Nulla è più gioioso del riso di una donna, più dolce di una sua carezza che rasserena e conduce in un mondo in cui non c’è spazio per i cattivi sentimenti, ma solo per quell’amore che è eterno come eterno è l’ Universo.
Non esiste un mondo senza bambini e senza donne che possa conoscer e felicità, perché sono loro che ne possiedono le chiavi, loro che possono donarla e rendercene partecipi.
La speranza è, quindi, quella che sempre più uomini possano com prendere, senza costrizioni o lavaggi cerebrali, quello che in fondo sanno fin dalla nascita, quando si abbracciavano alla madre, che la gioia dei cuori, anche quelli più inariditi, ci proviene dalle nostre donne e dai nostri figli.
Non è la gioia dei sensi, perché non sono, le nostre donne, mero strumento di piacere, ma qualcosa di molto più significativo che riempie un’intera esistenza e mai tradisce.
La speranza è che si riscopra la verità, oggi occultata, che l’amo re nelle sue realtà, spirituali e non fisiche, lo proviamo solo quando riusciamo a farci amare dai figli e dalle donne.
In un mondo confuso e disorientato, come quello in cui oggi vivia mo, dove si pretende di rendere eguali tutti e tutte, formando una nuova specie umana di esseri che non sono del tutto maschi e non sono del tutto femmine, l’ostacolo insuperabile ad ogni osceno disegno sono proprio le donne, la cui femminilità non è imitabile né trasmutabile, così che esse rimangono la vita e non potranno mai esserne la negazione.
Il ciclo eterno della vita passa per la donna, il frutto del suo amore sono i figli che rappresentano la continuità della vita, non solo di una specie.
La tecnologia moderna riduce l’uomo ad un animale da riproduzione, ma senza il corpo di una donna la vita non può nascere.
E noi riteniamo che essa debba nascere dall’amore, non dalla tecnologia perché i figli abbiano una madre ed un padre e quest’ ultimo, a sua volta, abbia possibilità di farsi amare da loro e dalla sua compagna.
Sono considerazioni che potrebbero essere giudicati banali, e lo sarebbero state in altri tempi, ma oggi hanno il valore intrinseco della riscoperta di un mondo che, via via, sta scomparendo a favore dalla moltiplicazione di novelli Frankstein creati in laboratorio o nelle sale chirurgiche.
La speranza è che si levi, pian piano, uno inno alla vita la cui verità non è contorta, è semplice ed immutabile, non soggetta a modifiche ed esperimenti.
La presunzione di certe élites è destinata ad infrangersi insieme ai mondo da incubo che stanno, un poco per volta, cercando di costruire nel momento in cui si farà strada la consapevolezza che la via della vita è una sola, da percorrere in due: una donna ed un uomo insieme, e con essi i loro figli.
Ma l’amore verso una donna non basta. Deve essere accompagnato dal rispetto e dalla stima che sono il corollario stesso dell’amore, e da questo non possono prescindere.
L’ augurio è, infine, quello che gli uomini possano ritrovare sé stessi e l’onore oggi perduto, quello che imponeva di difendere la donna e i bambini, anche da sé stessi, dalla propria ira, dai propri sentimenti quando feriti, perché chi infierisce su una donna o sui bambini non ha onore né dignità, va emarginato con giusto disprezzo.
Non sarà facile, in un mondo in cui le donne vengono esposte sulla linea del fuoco nei fronti di guerra in nome di una inesistente parità, con buona pace dell’onore militare, ma bisogna iniziare quel cammino a ritroso che, passo dopo passo, ci riconduca al momento in cui è iniziato quel processo che, in nome del progresso dell’umanità, ci sta conducendo all’autodistruzione.
Solo una donna, Carlotta Corday, ebbe il coraggio di levare il pugnale sul giacobino Marat.
Sarà ancora una donna, in modo meno cruento, a dare il segnale della riscossa?
Ce lo auguriamo.

Vincenzo

Read Full Post »

Nel breve volgere di una settimana si sono svolte due manifestazioni che hanno avuto entrambe lo scopo di contrastare la violenza e la morte.

E’ stata celebrata, da un lato, la Giornata contro la violenza sulle donne e, dall’altro, la Giornata contro la pena di morte indetta, quest’ultima, dalla Comunità di Sant’Egidio.

A levare la loro voce contro questa e quella, la violenza sulle donne e la pena di morte, sono stati gli stessi personaggi che si rappresentano, in questa maniera, come gli alfieri ed i difensori della civiltà odierna.

I telegiornali hanno snocciolato le cifre della violenza contro le donne, impressionanti per qualità e quantità, fra i quali spicca quello riferito alle donne uccise in 11 mesi: 115.

Centoquindici vite spezzate per sempre da mariti, fidanzati, conviventi, violentatori, bulli, rapinatori ecc. ecc.

Centoquindici assassini per i quali, quando arrestati, si è già messo in moto il meccanismo giudiziario e penitenziario che deve assicurare, il primo, una pena che dia a costoro la possibilità di essere reintegrati, in futuro, nella società, garantita dal secondo che assicura una rieducazione presunta ed un ravvedimento provato solo dalle parole e mai dai fatti.

Nel momento in cui centoquindici bare venivano calate nelle fossa, lo Stato volgeva il capo verso gli assassini e li rassicurava sulla loro possibilità di rifarsi una vita, di uscire dal carcere per coltivare i rapporti affettivi, di trovare magari un’altra donna che potrà consolarli per gli anni di carcere che, comunque, saranno costretti a fare.

E’ la logica del perdonismo esasperato, dell’indulgenza ad ogni costo, portata avanti da quanti hanno identificato la civiltà e la modernità con l’ impotenza dello Stato e della società dinanzi a quanti si ritengono in diritto di compiere crimini, anche i più atroci, salvo invocare il loro diritto alla vita e alla libertà.

Le classi dirigenti, oggi, hanno un solo impegno cancellare la parola giustizia per sostituirla con quelle di “clemenza”, “perdono”, “rieducazione”, nel tentativo di convincere il popolo che la sola giustizia è quella buona, che assolve, che condanna a pene miti, che comprende le ragioni degli assassini e salvaguarda i loro diritti, primi quello alla vita e alla libertà.

La lotta contro la pena di morte, vista come espressione di inciviltà e di barbarie, si propone esattamente questo obiettivo, quello di poter dire a chiunque che può delinquere, che può uccidere con la consapevolezza che lo Stato saprà comprendere ed aiutarli a riconoscere il loro errore perché possano tornare liberi e mondi dal peccato in una società attonita ma impotente.

In tutto questo manca qualcosa di sostanziale, quel senso di giustizia che ha accompagnato per millenni gli uomini di tutte le razze e che da mezzo secolo, si cerca, in tutti i modi, di cancellare.

Tutte le pene hanno una funzione preventiva e repressiva insieme, perché si rivolgono agli uomini per ammonirli e dissuaderli dal compiere reati che, quando commessi, trovano la loro sanzione certa, sicura, implacabile.

Lo Stato si rivolgeva agli uomini anche per dire che, ove non fosse stata sufficiente l’educazione, la religione, la morale, interveniva la giustizia che, provata la colpa, procedeva con massima severità nei confronti dei colpevoli.

Lo Stato s’imponeva, dunque, il compito di disarmare la mano di quanti, per motivi quasi sempre futili se non abietti, potessero sentirsi autorizzati ad uccidere innocenti.

Oggi, le classi dirigenti ritengono che non la mano degli uomini ma quella dello Stato che, nelle sue funzioni ha quella di proteggere la vita ed i beni dei cittadini, deve essere disarmata.

E’ lo Stato che sale sul banco degli imputati in veste di criminale perché non si può togliere la vita ad uomo, in quanto la vita è sacra, ecc. ecc.

Il rispetto per la vita, la persona e i beni altrui s’insegna, nelle famiglie, poi nelle scuole, fa parte integrante dell’educazione e della formazioni civica di ogni cittadino.

Ogni Stato che si rispetti svolge questa attività educativa alla quale, segue, necessariamente, una di carattere repressivo quando la prima si è rivelata inefficace per quanti ritengono di essere in diritto di infrangere le regole della civile convivenza.

La pretesa di dichiarare criminale lo Stato che punisce e considerare un “bravo ragazzo” che ha “sbagliato” chi commette reati che giungono fino all’omicidio, può appartenere solo a coloro che vogliono distruggerla società, non edificarne una nuova e migliore.

La pena di morte, come ogni altra pena, ha un valore dissuasivo meno per una minoranza di uomini che sono fisiologicamente portati al crimine.

Ma, se l’ombra del patibolo non costituisse un deterrente efficace, la pena di morte rappresenterebbe un atto di giustizia, vera, autentica, quella che non ritiene che un omicida di bambini debba sopravvivere ai piccoli innocenti che ha massacrato, semplicemente perché la sua vita non ha più ragione d’essere.

Non è tollerabile che, da un lato, si pianga su centoquindici bare fingendo di non sapere che molte fra queste sarebbero rimaste vuote se gli assassini fossero stati consapevoli di andare incontro, per il loro crimine, a sanzioni estreme.

Non si può prevenire la violenza contro le donne stampando una guida che insegni a queste ultime come riconoscere a tempo le intenzioni dei loro aggressori e dei loro uccisori.

Perché questa è la risposta dello Stato, questo lo scudo che dovrebbe proteggere le donne dalla violenza e dalla morte.

Se stare dalla parte degli innocenti è barbarie, se ritenere che la vita di donne, bambini, innocenti abbia valore e quella dei loro assassini no, allora è onorevole dichiararsi barbari, scegliendo di stare dalla parte dei giusti e della giustizia.

Vincenzo

Read Full Post »

Il caso Ruby, la diciassettenne marocchina per la quale si è mosso il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi telefonando in Questura, a Milano, per ottenerne il rilascio dopo che era stata fermata per furto, tiene banco nelle sedi politiche e sui giornali per mere ragioni strumentali.

Perché non crediamo alla sincerità dei politici e dei giornalisti quando affrontano il caso di Ruby?

Per la semplice ragione che per noi lo scandalo non risiede nel fatto che abbia partecipato a una o più

feste nella villa di Silvio Berlusconi, quanto nell’abbandono in cui la ragazza viveva per colpa degli organismi preposti a vigilare sui minori.

Come ha fatto Ruby a partecipare, all’età di 16 anni, ad un concorso di bellezza, sfilando un costume da bagno sotto lo sguardo non certo paterno di tanti “intenditori”? Chi e quando ha indotto una ragazzina a scoprire che il suo corpo poteva servirle per fare soldi e carriera nel mondo dello spettacolo?

Nessuno si è preoccupato di impedire che Ruby venisse avviata sulla strada della prostituzione. Non i Tribunali dei minori, non i servizi sociali, non i “preti di frontiera”, non i giornalisti che periodicamente producono struggenti documentari sullo sfruttamento sessuale dei minori…in Cambogia e in Congo.

In Italia no, non se ne parla, non si fanno inchieste, non si grida allo scandalo per una baby-prostituta, ma solo perché ha partecipato ad una festa nella villa di Silvio Berlusconi.

Non ci va bene. Noi ci chiediamo chi protegge le Ruby d’Italia, chi le difende dalle sordide mire di chi cerca “carne fresca” da usare e piazzare, poi, sul mercato.

Il caso Ruby conferma che, in questo Paese, non esiste la tutela dei minori, ma solo l’ipocrita pretesa di essere all’avanguardia nella loro difesa imponendo, ad esempio, di coprire il viso dei minori che, per una ragione o per l’altra, finiscono sui giornali e sui telegiornali.

Abbiamo così potuto assistere alla tristissima e grottesca, insieme, visione in Tv delle immagini di Ruby che sfila, a sedici anni, seminuda ad un concorso di bellezza ma con il viso rigorosamente coperto.

Ascoltiamo, in questo modo, increduli una graziosa presentatrice televisiva annunciare, alle ore 23.45 la messa in onda di un film con la raccomandazione, “in caso di visione da parte dei bambini” della presenza dei genitori.

Ma i bambini, alle 23.45, non dovrebbero già essere a letto da un pezzo a dormire il sonno degli innocenti?

Cosa dobbiamo intendere per tutela dei minori, che questi ultimi hanno solo diritti, da quello di stare alzati la notte a vedersi i programmi televisivi, a quelli di ubriacarsi, drogarsi, fare sesso e prostituirsi?

Non sono questi i diritti che riconosciamo ai minori, che vengono ritenuti tali solo da quanti hanno rinunciato ad esercitare i loro doveri di adulti che hanno il compito di vigilare sui minori perché la loro infanzia e la loro adolescenza non si trasformino in incubi dai quali, spesso non riusciranno più ad uscire.

Il caso Ruby è un episodio di cui si dovrebbe vergognare l’intera società italiana, che dovrebbe essere preso ad esempio per rivedere le norme di tutela dei minori a cominciare dal divieto di far sfilare ragazzine, in costume da bagno, ai concorsi di bellezza perché possono attendere, se ne hanno voglia, fino ai 18 anni, sottraendole all’attenzione interessata di quanti, maschi, ritengono di poterne fare le partner per festini o meno.

Nessuno ha posto in rilievo, in questo caso, la totale integrazione di Ruby nel mondo occidentale, in quella che ancora hanno la faccia tosta di chiamare “civiltà occidentale”. Eppure Ruby è un marocchina di fede islamica, che ha buttato alle ortiche il Corano ed i vestiti per fare carriera nel mondo dello spettacolo dove non valgono le qualità artistiche ma quella di fare “buga buga” con chi può favorirla salvo, magari, ritrovarsi a fare la escort di lusso sino a quando il fisico lo consente.

E per restare in tema di “civiltà”, è di ieri l’episodio di un maresciallo dei carabinieri che uccide la figlia di 13 anni, cerca di uccidere quella di 15 anni e, infine, si ammazza, per un diverbio sull’uso di Facebook.

E’ vero, ci sono stati episodi in cui qualche pakistano ha ucciso la figlia che voleva andare a vivere con il “ragazzo”, e tutti ne hanno parlato come prova della barbarie islamica contro le donne, ma nessuno di loro ha mai ammazzato una figlia e tentato di ammazzare la seconda per Internet.

Non è un caso di squilibrio mentale. E’ la conseguenza tragica dell’impossibilità per un genitore di imporre la propria autorità ai figli.

Il maresciallo sapeva, anche per via del suo lavoro, che non aveva la possibilità, perché vietata dalla legge, di punire le figlie, chiudendole a case, dando loro uno schiaffo o, Dio non voglia, una bella sculacciata.

Ed esasperato dalla sua impotenza, incapace di imporre le sue ragioni, impossibilità di esercitare la sua autorità di padre, alla fine ha estratto la pistola e ha sparato sulle figlie “ribelli”, una di tredici e l’altra di quindici anni.

La maggior parte dei genitori si rassegnano a vedere i figli drogarsi, ubriacarsi, fare sesso, prostituirsi, se non quando se ne rendono complici, perché la loro figura ed il ruolo sono stati cancellati e sostituiti con quelli dell’ “amico” e dell’ “amica” dei figli.

Altri, viceversa, reagiscono con asprezza, a volta in modo estremo.

Non si può morire così a tredici anni, uccisa dal padre per Internet.

La tutela dei minori passa anche dal riconoscimento dell’autorità
e dell’autorevolezza dei genitori, i primi educatori dei figli, quelli che con amore li conducono per mano fino alla maggiore età, non amici né complici né spettatori passivi di quello che di sbagliato fanno i figli.

Genitori reintegrati nella dignità del loro ruolo, nella pienezza delle loro funzioni, anche sotto il profilo disciplinare, da perseguire e mandare in galera se fanno del male ai figli, ma liberi di usare la loro autorità, nei limiti del lecito e del giusto.

I genitori di Ruby si sono rassegnati dinanzi alla figlia ribelle, perché consapevoli che nella società italiana per loro non c’era altro posto che la galera se avessero preteso di imporre la loro autorità, ed oggi hanno figlia prostituta.

II maresciallo dei carabinieri non ha trovato altra soluzione che sparare sulle figlie ribelli e poi uccidersi a sua volta.

Sono due esempi della barbarie in cui è piombata una società, un tempo,civile.

Se si vuole costruire un futuro, dobbiamo allora guardare al passato, perché tutto rientri nell’ordine naturale delle cose, dove i genitori solo coloro che guidano e comandano, ed i figli quelli che seguono ed obbediscono.

Vincenzo

Read Full Post »

I telegiornali danno la notizia, con il solito tono neurale, della madre che, a Bari, dopo aver litigato con il compagno, ha massacrato il figlio di 7 mesi, ora ricoverato in fin di vita.

Forse, apparteniamo ad un’altra epoca, veniamo da un mondo lontano nel quale un episodio del genere avrebbe suscitato un orrore vero, spontaneo, non stimolato dall’ascolto dei telegiornali, così che pensiamo ad un piccolo essere umano di 7 mesi, che suscita tenerezza solo a guardarlo, massacrato dalla madre.

Abbiamo perso il conto degli episodi terribili di questo genere. Non è possibile contarli, ripercorre con la memoria quali e quanti in questi anni giornali e televisioni ci hanno raccontato senza suscitare emozione ed indignazione.

Ad essere sinceri, la stampa e la televisione si sono impegnate, a volte, a favore degli assassini, come nel caso di Anna Maria Franzoni che, dopo aver massacrato suo figlio, si è addirittura preteso che il presidente della Repubblica le concedesse subito la grazia per evitarle di scontare la condanna a 16 anni di reclusione alla quale dopo anni di battaglie mediatiche, era stata infine condannata.

E i bambini?

Quando si decide, sempre più raramente, di suscitare l’indignazione lo si fa per ragioni strumentali, come nel caso del bambino sequestrato ed ucciso da Mario Alessi, in un momento in cui la Chiesa era impegnata ad affermare la “sacralità della vita”.

In quel caso, si spinse lo zelo mediatico a trasmettere in televisione le immagini del funerale. E così tutti abbiamo avuto modo di assistere allo spettacolo tristissimo dei genitori che attendono, come attori che recitano, che si dia il via le riprese per far prendere la piccolissima bara bianca dal furgone mortuario, giunto in anticipo sull’orario, per portarla in chiesa.

Mai spettacolo più doloroso è stato quello di vedere il furgone fermo sulla strada, dinanzi alla chiesa, circondato da migliaia di persone, tutte immobili in attesa che il regista segnalasse che la diretta televisiva era iniziata.

La morte come spettacolo deve indignare ed emozionare a comando, caso per caso.

Non troviamo quindi sorprendente che, dinanzi all’indifferenza sostanziale, dell’opinione pubblica i delitti contro l’infanzia, sempre più spesso compiuti da padri e madri, si moltiplichino, fino a rientrare quasi nella normalità come furti e rapine.

Il copione lo conosciamo: la mamma assassina andrà in ospedale psichiatrico perché depressa, al momento dell’omicidio, il padre assassino invocherà le attenuanti generiche e magari, anche lui, la semi-infermità mentale.

La recita stanca. I bambini li seppelliscono e se ne ricordano, ogni tanto, per le statistiche o quando, guarda caso, non fanno vedere l’intervista a qualche madre che, ovviamente, si tormenta per il rimorso.

Ma lei vive, suo figlio no.

Da quanti anni, ormai, la moda corrente in questo Paese è l’esibizione del rimorso, del pentimento, del pianto di quanti hanno ucciso senza pietà i loro figli, senza che mai ci sia la possibilità di comprendere quanto siano sinceri quei sentimenti che ostentano dinnanzi alle telecamere.

E’ la moda del pietismo ad ogni costo, del perdonismo ad oltranza, del ravvedimento obbligatorio di cui, però, possono beneficiare solo i vivi, mai i morti.

Nesun pensiero per quei bambini che si erano appena affacciati alla vita per essere spazzati via dalla ferocia omicida di adulti che non provano pietà, ma sanno di poterla chiedere e di poterla ottenere da una società che ha smarrito il senso morale e, con esso, quello della giustizia.

E se tornasse di moda l’indignazione?

Se questo popolo trovasse la forza di scuotersi di dosso il giogo mediatico del pubblico pietismo alimentato da preti, sociologi, politici, giornalisti e tornasse ad avvertire un senso di rivolta contro chi uccide i bambini, almeno contro chi uccide i bambini?

Se chi non trova di meglio per sfogare le proprie frustrazioni che uccidere innocenti senza difesa, vedesse profilarsi nel suo futuro non l’occhio della telecamera e il microfono offerto da un compiacente giornalista per raccontare il proprio rimorso non provato né provabile, ma l’ombra di un patibolo non sarebbe il deterrente più efficace per proteggere l’infanzia?

Domande alle quali sarebbe doveroso dare risposte non demagogiche, ma pertinenti alla realtà in cui viviamo, sincere, smettendosi di fingersi moderni e quindi “civili” quasi che la modernità debba comportare l’ignominia di incrementare i delitti o l’impotenza del reprimerli.

Se le risposte fossero spontanee, noi riscopriremmo che la legge più antica è ancora oggi la più giusta: vita per vita.

Se i conclamati e proclamati, a mezzo stampa, rimorsi distruggono la vita di chi ammazza bambini, senza però mai indurli al suicidio, rimangono valide le parole con cui un pubblico ministero, negli anni Trenta, esortò la giuria popolare di una Corte di assise a condannare a morte l’autore di un parricidio:

Abbiate pietà, non lasciatelo vivere”.

Lasciamo vivere gli innocenti, non chi li uccide.

Vincenzo

Read Full Post »

In questa Italia tormentata e sempre più impoverita, dove i bambini servono per vendere prodotti e fanno notizia solo se maltrattati, violentati ed uccisi, poco si fa per il loro benessere.

Gli asili nido non sono argomento corrente nei telegiornali e sui quotidiani, sempre che la violenza di alcuni non li trasformi in luoghi orrore.

Eppure, gli asili nido rappresentano, nella generalità dei casi, un mondo lindo, sereno, accogliente dove la professionalità delle donne, spesso giovani e giovanissime, rende felici i bambini che vi sono accolti e soddisfa le esigenze dei loro genitori.

Perché non parlare di questi luoghi dove l’unico fine è il benessere dei bambini e delle bambine che hanno con le loro educatrici il loro primo approccio con il mondo esterno, dove imparano a socializzare con i loro piccolissimi coetanei, dove provano per la prima volta la tristezza dell’allontanamento dalla mamma, al quale rimedia l’affetto delle operatrici che si accompagna ad una elevata professionalità?

E’ difficile, forse impossibile, trovare difetti in questi asili nido dove tutto è studiato, fin nei minimi dettagli, per fare stare bene i piccoli ospiti che giocano, mangiano, riposano, sono accuditi con delicatezza, attenzione e scrupolo.

Un mondo che sembra da favola, piccole oasi felici in un mondo nel quale diviene sempre più difficile vivere. Eppure, il difetto cè: sono troppi pochi e troppo costosi per la maggior parte dei cittadini italiani che non hanno la possibilità di pagare le onerose rette che vengono richieste, necessariamente richieste perché la dualità del servizio le rende inevitabilmente elevate.

Non è la prima volta che lamentiamo il disinteresse delle autorità preposte alla creazione di nuovi asili nido, all’assunzione di nuove educatrici, alla loro preparazione professionale, ma l’argomento merita, per la sua importanza, di essere ripreso e reiterato affinché un numero sempre maggiore di persone si renda conto che non può essere ignorato perché sono migliaia le famiglie che ne hanno bisogno e i bambini che hanno il diritto di potervi accedere, a prescindere dalle condizioni finanziarie dei genitori.

Le iniziative che si susseguono per supplire a questa mancanza – l’ultima trovata è quella degli asili in famiglia – non riescono a fare altro che denunciare l’assenza dello Stato, delle Regioni e degli enti locali in un settore che è vitale per la serenità dei bambini e delle loro famiglie.

Si stenta a credere che governi capaci di spendere miliardi, tanti miliardi, per sostenere la politica estera della potenza egemone inviando i nostri militare a combattere – e spesso a morire- in terre lontane non trovi i mezzi finanziari per occuparsi dei nostri figli, per costruire nuovi asili nido, per renderli accessibili ad una numero sempre maggiore di famiglie italiane.

Tacere non è un errore, è una colpa specie quando si conosce la realtà di quante lavorano negli asili nido, di quante insieme alla professionalità ci profondono la passione e l’amore per i bambini e per il loro lavoro.

Bisogna, quindi, parlare, perorare, insistere, protestare a voce alta per chiedere il riconoscimento di un diritto ed anche per far conoscere la realtà di un mondo che non somiglia a quello di gratuita ed insensata violenza che ci presenta la televisione enfatizzando un episodio per oscurare tutti gli sforzi fatti da quante fanno, con personale sacrificio, degli asili nido un vanto della Nazione.

Bisogna conoscere Francesca e le altre per comprendere che esiste
un mondo- dove l’infanzia non è violata, maltrattata, vessata, dove
tutto è luce, affetto e amore. .

E con Francesca e le altre, per Francesca e le altre, che si ponga attenzione ai problemi dell’infanzia più indifesa, quella dei piccolissimi che ancora non sanno nemmeno parlare, che esprimono i bisogni, le necessità, i sentimenti e le emozioni con lo sguardo, la mimica facciale, l’agitarsi delle manine, il pianto o il riso.

Dimenticarsi di loro non si può, non si deve, perché rappresentano quel pochissimo di bene e di bello che ci è rimasto, di utile in un mondo in cui si pone l’accento su quanto è inutile e, spesso, perfino dannoso.

Vogliamo il bene per i nostri bambini, per un numero sempre maggiore di piccolissimi il cui ingresso nel mondo sia salutato e guidato da Francesca e le altre.

Ed insisteremo fino ad ottenerlo.

Vincenzo

Read Full Post »

Ad offrire un modello di quello che la donna non dovrebbe essere e non dovrebbe fare, ci pensarono i radicali che portarono in Parlamento Ilona Staller, in arte “Cicciolina”.

Si obietterà che, sul piano morale, nel Parlamento italiano ci sono da sempre personaggi di gran lunga peggiori di “Cicciolina”, ma sotto il profilo educativo nei confronti dei minori italiani l’esaltazione di una prostituta che campa vendendo il suo corpo al miglior offerente non ci è mai sembrato un esempio condivisibile.

Le minorenni italiane alle quali è stato spiegato come in fondo l’antico mestiere della prostituzione è alla pari con qualsiasi altro, anzi può servire da trampolino da lancio perfino per entrare in Parlamento, inoltre rende famose e ricercate da giornali e televisione non ne hanno tratto grande vantaggio.

Eppure, in nome della libertà sessuale, la televisione italiana ha condotto una campagna sfrenataper valorizzare le pornostar, fino ad arrivare alla beatificazione di Moana Pozzi, morta ancora giovane e bella, trasformandola nell’idolo dolente di una categoria che la decenza e la morale chiederebbero che restasse confinata nel-1’ombra.

Rotto il tabù della prostituzione come mestiere non consigliabile alle minorenni italiane, la politica italiana ha ritenuto opportuno infrangere un secondo tabù, quello dell’omosessualità che, in maggioranza, coinvolge i maschi, o presunti tali, in modo da applicare la par condicio fra i due sessi.

Dopo Cicciolina, è entrato pertanto in Parlamento Vladimiro Guadagno, in arte Vladimir Luxuria, al quale piace sentirsi e vestirsi da donna.

Manco a dirlo, pure Luxuria ha confidato ai giornalisti di essersi prostituito (usiamo il maschile perché per noi è maschio) per un anno alla modica tariffa di 50 mila lire a cliente.

Non sappiamo cosa direbbe Dante Aligheri oggi, visto che ai suoi tempi già inveiva contro l’Italia non “donna di province ma bordello”, ma certo, ancora una volta, non ci è parso che l’esempio di Luxuria fosse meritevole di essere proposto ai minori italiani.

Non c’è solo lui, perché quotidianamente, a tutte le ore,la televisione italiana propone la presenza e le ciarle di omosessuali e transessuali, vestiti o meno da femmina, che si propongono come modello da seguire, che reclamano diritti e difesa della loro categoria.

Per chi si occupa di minori, specie di quelli in tenerissima età, crediamo che sia alquanto imbarazzante trovare le parole adatte per spiegare ai giovanissimi teleutenti se Platinette è maschio o è femmina o è qualcosa che è una via di mezzo.

Perché i bambini guardano e chiedono. Siamo sempre stati convinti che la difesa dell’integrità dei costumi sia doverosa, specie dinanzi agli occhi dei bambini, che, a nostro avviso, hanno il diritto di avere uno sviluppo sessuale normale, quello che conduce all’attrazione fra i due sessi, maschile e femminile.

Riteniamo che sia un diritto dei bambini crescere secondo natura, senza essere bersagliati da una propaganda che li vuole convincere che è normale accoppiarsi fra maschi o fra femmine, anche perché i bambini non hanno alcuna difesa da opporre a questa offerta di più sessualità.

Non sanno ancora cosa voglia dire amare una donna, figurarsi cosa possono conoscere sugli amori omosessuali maschili e femminili.

E’ una constatazione semplice, alla portata di tutti, come lo è la conseguente considerazione se sia giusto imporre loro la figura dell’omosessuale come esempio da seguire.

I risultati di questa propaganda sulla libertà sessuale, iniziata sul finire degli anni Sessanta e proseguita in maniera sempre più ossessiva ed assillante, li conosciamo visto che oggi si è posto il problema di convincere le dodicenni ad avere rapporti “protetti”.

Ancora qualche anno di “Ciccioline” e “Luxuria” e ascolteremo la proposta di distribuire profilattici nelle scuole elementari e negli asili.

Forse, è giunto il momento di ricordarsi che la difesa dell’infanzia non è solo quella di garantire un pasto ai bambini, un vestito, una casa, l’asilo, l’assenza di violenze fisiche, ma è anche quella di non sottoporli ad un bombardamento di immagini e di parole che violentano la loro sessualità, per determinare le inclinazioni.

Magari, si può iniziare a confinare negli orari serali, nella cosiddetta “fascia protetta” immagini e presenze imbarazzanti per il vestire, il linguaggio, le opinioni che esprimono in modo che non possano influenzare quell’infanzia che tutti a parole vogliono tutelare, ma che viceversa è massacrata quotidianamente da quanti si ritengono in diritto di propagandare se stessi come omosessuali e transessuali.

La proposta non è contro gli omosessuali e i transessuali ma a favore dell’infanzia che non ha gli strumenti per giudicare ciò che vede e sente e che, per questa ragione dovrebbe vedere e sentire ciò che rientra nella sua normalità di bambini e bambine che hanno un maschio per padre e una femmina per madre, che quando chiamano “papà” arriva un uomo, e “mamma” arriva una donna, senza possibilità di equivoci.

La lobby omosessuale può strepitare quanto vuole ma nessuno ci potrà convincere che si può spiegare a bambini e bambine dai tre ai sette-otto anni, se non di più, perchè Wladimiro Guadagno vada in giro vestito da donna e si faccia chiamare Wladimir Luxuria, con la pretesa che riescano a comprendere le differenti forme di sessualità.

Poniamoci il problema, senza timore di essere accusati falsamente di omofobia o razzismo, perché il problema esiste e non è giusto ignorarlo, non per offendere bensì per difendere il bene più prezioso che ha un popolo, la sua infanzia, l’innocenza della sua infanzia che ha il diritto di vedere fino ad una certa età il mondo in modo lineare non contorto, semplice non confuso, perché i messaggi che la mente dei bambini recepisce sono lineari, privi di ambiguità, chiari e non oscuri.

Solo cosi, si potrà metterli in condizione di scegliere, quando avranno l’età per comprendere, che cosa essere e quali vie seguire.

Chiediamo semplicemente che i nostri bambini crescano senza condizionamenti di sorta.

O, forse, è proprio questo che certe lobby temono? Essere privati del palcoscenico nel quale esibirsi, non poter pre-determinare il futuro dei bambini e degli adolescenti, non poter influenzare la loro sessualità.

Se così fosse, ricordiamoci che ancora esistono norme penali che puniscono la corruzione dei minori di anni 14.

Vincenzo

Read Full Post »

La parità di diritti con l’uomo, la parità salariale, l’accesso a tutte le carriere sono obiettivi sacrosanti e, almeno sulla carta, sono già stati offerti alle donne nel momento in cui l’uomo l’ha giudicato conveniente. Resteranno però inaccessibili alla maggior parte di loro finché non saranno modificate le strutture psicologiche che impediscono alle donne di desiderare fortemente di farli propri, sono queste strutture psicologiche che portano la persona di sesso femminile a vivere con senso di colpa ogni suo tentativo di inserirsi nel mondo produttivo, a sentirsi fallita come donna se vi aderisce e a sentirsi fallita come individuo se invece sceglie di realizzarsi come donna”.

Elena Gianini Belotti –Dalla parte delle bambine-

Gli stereotipi e i pregiudizi, ancora così attuali nella nostra società, si riflettono anche nella differenziazione tra giocattoli destinati ai bambini e quelli invece destinati alle bambine.

L’organizzazione dei reparti di giocattoli cerca di mantenere questa differenza, capita, ad esempio, molto spesso di vedere i reparti destinati ai giocattoli per bambini fisicamente separati da quelli per le bambine.

Alle bambine sono proposte bambole e bambolotti, cucinette con tutto il necessario, ai bambini sono proposte costruzioni, mezzi di trasporto (aerei, trenini, automobili) armi di ogni genere.

I genitori comprando un giocattolo hanno la percezione di fare scelte apparentemente ampie, in realtà sono assai limitate. Ad esempio l’oggetto caro che la bambina si porterà a letto sarà una bambolina, al bambino gli si darà un animale di pezza o comunque un bambolotto (purché sia senza equivoci identificabile al sesso maschile). Stesso discorso vale per le costruzioni, anche queste ormai diversificate, se si tratta di costruzioni destinate ad un bambino o ad una bambina (oggi in commercio si trovano costruzioni destinate alle bambine per costruire la propria casetta e tutto il necessario per l’arredamento).

E’ bene ricordare però che, molto spesso, nella scelta dei giocattoli (almeno nei primi anni di vita del bambino) non c’è la possibilità di muoversi con spontaneità, i nostri pensieri rimangono stereotipati, copiati dall’esterno, fortemente legati a scelte influenzate (in primis dai produttori di giocattoli) incapaci sul piano pratico di esprimere decisioni più prettamente libere ed individuali.

Il gioco con le bambole: un esempio di possibilità per bambine e bambini

Molti genitori pensano che il gioco con le bambole non sia adatto per i maschietti, questo purtroppo impedisce la possibilità di affrontare a livello simbolico le frustrazioni e le difficoltà che (anche) i maschietti vivono quotidianamente; il gioco è sì ancorato al presente, si prolunga in direzione del futuro, ma riassume e cerca di risolvere anche i problemi del passato.

Se si dà la libertà di giocare con le bambole , bambine e bambini senza distinzione usano con grandi benefici le bambole per elaborare e gestire problemi irrisolti (ad esempio la nascita di un fratellino, la rivalità fraterna), per rivivere esperienze del proprio passato rimettendole in scena in mille modi diversi (ad esempio l’esperienza di essere cullati, lavati, curati che sono esperienze che hanno vissuto indistintamente bambini e bambine).

Se per i bambini accudire i bambini non assumerà nel loro futuro un ruolo centrale tuttavia potrà rappresentare un momento comunque importante della loro esperienza di padri.

Molti genitori, sopratutto i papà, sostengono che giocare con le bambole sia poco virile e sia un gioco adatto esclusivamente alle bambine. Ma questo non ha nessun fondamento, basta infatti osservare il modo in cui i bambini ci giocano, che è molto diverso da come ci giocano le bambine (più manipolatorio e “aggressivo”).

Per i bambini l’interesse per le bambole si esaurisce molto prima che nelle bambine, assumendo un significato diverso, ma questo non può diventare l’attenuante per non offrire anche ad un bambino tutte quelle possibilità che può ricavare giocando con le bambole.

Read Full Post »

Older Posts »