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Posts Tagged ‘famiglia’

In questa Italia tormentata e sempre più impoverita, dove i bambini servono per vendere prodotti e fanno notizia solo se maltrattati, violentati ed uccisi, poco si fa per il loro benessere.

Gli asili nido non sono argomento corrente nei telegiornali e sui quotidiani, sempre che la violenza di alcuni non li trasformi in luoghi orrore.

Eppure, gli asili nido rappresentano, nella generalità dei casi, un mondo lindo, sereno, accogliente dove la professionalità delle donne, spesso giovani e giovanissime, rende felici i bambini che vi sono accolti e soddisfa le esigenze dei loro genitori.

Perché non parlare di questi luoghi dove l’unico fine è il benessere dei bambini e delle bambine che hanno con le loro educatrici il loro primo approccio con il mondo esterno, dove imparano a socializzare con i loro piccolissimi coetanei, dove provano per la prima volta la tristezza dell’allontanamento dalla mamma, al quale rimedia l’affetto delle operatrici che si accompagna ad una elevata professionalità?

E’ difficile, forse impossibile, trovare difetti in questi asili nido dove tutto è studiato, fin nei minimi dettagli, per fare stare bene i piccoli ospiti che giocano, mangiano, riposano, sono accuditi con delicatezza, attenzione e scrupolo.

Un mondo che sembra da favola, piccole oasi felici in un mondo nel quale diviene sempre più difficile vivere. Eppure, il difetto cè: sono troppi pochi e troppo costosi per la maggior parte dei cittadini italiani che non hanno la possibilità di pagare le onerose rette che vengono richieste, necessariamente richieste perché la dualità del servizio le rende inevitabilmente elevate.

Non è la prima volta che lamentiamo il disinteresse delle autorità preposte alla creazione di nuovi asili nido, all’assunzione di nuove educatrici, alla loro preparazione professionale, ma l’argomento merita, per la sua importanza, di essere ripreso e reiterato affinché un numero sempre maggiore di persone si renda conto che non può essere ignorato perché sono migliaia le famiglie che ne hanno bisogno e i bambini che hanno il diritto di potervi accedere, a prescindere dalle condizioni finanziarie dei genitori.

Le iniziative che si susseguono per supplire a questa mancanza – l’ultima trovata è quella degli asili in famiglia – non riescono a fare altro che denunciare l’assenza dello Stato, delle Regioni e degli enti locali in un settore che è vitale per la serenità dei bambini e delle loro famiglie.

Si stenta a credere che governi capaci di spendere miliardi, tanti miliardi, per sostenere la politica estera della potenza egemone inviando i nostri militare a combattere – e spesso a morire- in terre lontane non trovi i mezzi finanziari per occuparsi dei nostri figli, per costruire nuovi asili nido, per renderli accessibili ad una numero sempre maggiore di famiglie italiane.

Tacere non è un errore, è una colpa specie quando si conosce la realtà di quante lavorano negli asili nido, di quante insieme alla professionalità ci profondono la passione e l’amore per i bambini e per il loro lavoro.

Bisogna, quindi, parlare, perorare, insistere, protestare a voce alta per chiedere il riconoscimento di un diritto ed anche per far conoscere la realtà di un mondo che non somiglia a quello di gratuita ed insensata violenza che ci presenta la televisione enfatizzando un episodio per oscurare tutti gli sforzi fatti da quante fanno, con personale sacrificio, degli asili nido un vanto della Nazione.

Bisogna conoscere Francesca e le altre per comprendere che esiste
un mondo- dove l’infanzia non è violata, maltrattata, vessata, dove
tutto è luce, affetto e amore. .

E con Francesca e le altre, per Francesca e le altre, che si ponga attenzione ai problemi dell’infanzia più indifesa, quella dei piccolissimi che ancora non sanno nemmeno parlare, che esprimono i bisogni, le necessità, i sentimenti e le emozioni con lo sguardo, la mimica facciale, l’agitarsi delle manine, il pianto o il riso.

Dimenticarsi di loro non si può, non si deve, perché rappresentano quel pochissimo di bene e di bello che ci è rimasto, di utile in un mondo in cui si pone l’accento su quanto è inutile e, spesso, perfino dannoso.

Vogliamo il bene per i nostri bambini, per un numero sempre maggiore di piccolissimi il cui ingresso nel mondo sia salutato e guidato da Francesca e le altre.

Ed insisteremo fino ad ottenerlo.

Vincenzo

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Nella società di oggi (caratterizzata da cambiamenti che hanno investito e investono la sfera del costume, del linguaggio, dei bisogni, dei desideri, degli individualismi, delle nuove tipologie familiari, dei tempi della maternità, dell’imprevedibilità del futuro,…) si delinea un quadro complesso e inquietante all’interno del quale l’educazione dei figli acquista un valore ancora più rilevante.

Sapere che il modo in cui il bambino viene cresciuto influisce sul suo sviluppo porta i genitori a vivere una situazione sempre in bilico, dove i continui punti di domanda sul fare/non fare, sul giusto/sbagliato generano ansia e senso d’incapacità.

E’ forse questo il motivo per cui soprattutto oggi i manuali su come allevare i figli vengono presi così tanto in considerazione.

Nonostante alcuni di questi manuali possano darci suggerimenti su come allevare i figli o presentarci delle strategie per affrontare situazioni critiche (sonno, alimentazione, conflitti,…), questi non possono che dare solo qualche spunto di riflessione.

Molti genitori, per paura (legittima) di sbagliare o non sapendo bene come comportarsi mettono in pratica tutto quello che hanno letto in questi libri come fosse oro colato.

Quello che troppo spesso questi manuali non dicono è che, nonostante i problemi esposti siano comuni a molti genitori, non verranno mai analizzate le problematiche colte nel loro contesto specifico. L’esperto non ha davanti agli occhi ogni singola famiglia, ogni genitore, ogni bambino, di conseguenza non può conoscere le caratteristiche, le peculiarità, le emozioni, la storia di quel determinato ambiente o delle persone che lo vivono.

Il rischio è che spesso i consigli non portano molto lontano, non risolvono il problema, anzi, ne aggiungono uno nuovo: il genitore che, anche dopo aver letto il manuale, non riesce a gestire una situazione si sentirà doppiamente inadeguato per non essere riuscito a mettere in pratica i consigli che gli sono stati dati.

In questi anni è diventato popolarissimo un reality-show dove i genitori che hanno difficoltà nell’educazione e nel rapporto con i figli chiedono l’aiuto di una tata che ha una settimana di tempo per creare quell’ambiente familiare idilliaco (da pubblicità), laddove prima c’erano solo urla, litigi, incomprensioni.

Andando oltre le esigenze della trasmissione, che presenta situazioni estremizzate fino all’impensabile, la mia riflessione ricade sul messaggio che implicitamente si vuole dare al genitore e al suo ruolo: un genitore che non vuole assumersi le proprie responsabilità, che delega sempre e comunque l’educazione del figlio ad altri, l’idea quindi che basta pagare qualcuno per risolvere il problema.

Il genitore ha il dovere di svolgere il proprio compito anche quando si tratta di situazioni che richiedono un grosso impegno e molte energie.

Perché il genitore porta dentro di sé le risorse necessarie per potercela fare, un lavoro continuo di osservazione, di prove e verifiche, di cambi strategie, di nuove modalità e poi, tutto da capo, per una, cento, mille volte ancora,…

Il rapporto genitore/bambino dovrebbe essere spontaneo, unico senza copiare ed essere copiato, prezioso nella misura in cui il cammino di educazione del bambino diventa allo stesso tempo cammino di crescita anche per l’adulto, come genitore e come persona.

Questo non significa non considerare quelle innumerevoli situazioni che possono diventare per il genitore un vero e proprio calvario, soprattutto a livello emotivo (il cibo, il sonno,…) ma al contrario affermare che il genitore non deve essere lasciato solo, evitando di dargli un bagaglio di informazioni e consigli fini a se stessi, ma riuscendo a creare una rete di rapporti in grado di diventare un reale aiuto alla genitorialità che si traduce in sostegno (non sostituzione) e ascolto verso il genitore.

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Da molti anni abbiamo modo di assistere, con frequenza quotidiana, ad una campagna propagandistica a favore dell’infanzia, dei bambini e degli adolescenti.

I risultati li conosciamo: bambini come merce,soli più che mai all’interno difamiglie impegnate a tirare avanti come possono, adolescenti travolti dalla droga, dall’alcool, dal sesso, vittime e carnefici insieme.

La classe politica, nel suo insieme, cerca di dimostrare quanto abbia a cuore i problemi dell’infanzia e dell’adolescenza, affidandosi per convincerci al lavaggio del cervello praticato dai mezzi di comunicazione di massa stampati e televisivi.

Ma è lecito chiedersi se, effettivamente, questa classe dirigente faccia qualcosa per i nostri ragazzi, a partire dai più deboli, dai più indifesi, dai bambini in tenerissima età.

La risposta è data dall’indifferenza verso l’ampliamento degli asili nido.

Si ritiene che l’asilo nido sia esclusivamente un luogo dove parcheggiare i piccolissimi per dare modo alle mamme di lavorare, di produrre e di consumare.

E’ una logica da supermercato. Accudisco il pupo così puoi fare la spesa nel mio negozio e spendere più che puoi, senza essere infastidita dalla presenza di tuo figlio.

Cosa dovrebbe, viceversa, rappresentare l’asilo nido? A nostro avviso, dovrebbe essere considerato il primo istituto scolastico, il primo passo verso l’istruzione e l’educazione pubblica che in ogni Stato che si rispetti si accompagna a quelle private, familiari.

Negli asili nido, i bambini in tenerissima età vengono accuditi amorevolmente, sfamati, lavati, indotti a giocare. Ma cos’è il gioco se non la prima e primordiale forma d’istruzione?

I bambini apprendono con il gioco, e gli adulti consapevoli li inducono a scegliere quei giochi che possono stimolare la loro conoscenza del mondo circostante, la loro fantasia, creatività,presa di coscienza di sé.

Il gioco è, pertanto, il modo iniziale per introdursi nella vita e conoscere gli altri, un modo quindi di apprendere e socializzare che non può essere ignorato,negletto quasi fosse solo un passatempo in attesa chela mamma finisca di lavorare e passi a riprendersi
il figlio.

Bisogna, necessariamente, modificare il punto di vista sugli asili nido, non luoghi di parcheggio, ma istituti scolastici a tutti gli effetti, dove lavora: un personale specializzato e preparato per introdurre il bambino nel mondo e nella vita.

Oggi, ad occuparsi degli asili nido, della loro costruzione, del loro funzionamento sono in tanti fra Regioni, enti locali, privati, tutti concentrati sulla necessità di trovare un posto per consentire alle mamme di lavorare.

E’ logica del canile, sia pure detto con brutalità, che ospita i cagnolini quando i padroni devono andare in ferie.

I nostri bambini meritano, però, ben altra considerazione, ben diverso rispetto e, con loro, anche le madri.

A questa logica aberrante del canile per cuccioli d’uomo, aggiungiamo quella dello sfruttamento perchè gli asili nido costano, le rette sono tali che la grande maggioranza delle mamme non si possono permettere di pagare rette che giungono a toccare le 800-1000 euro mensili.

Si crea una discriminazione sociale, per cui i ricchi possono mandare i figli all’asilo nido anche se le mamme non lavorano (perchè non ne hanno bisogno) ma vogliono essere libere di andare al centro estetico, a fare shopping o passare ore piacevoli con le amiche, mentre le impiegate e le operaie devono affidare i figli ai parenti o alle vicine di casa.

Tutto questo non è accettabile.

L’ approccio con il problema dell’asilo nido deve essere radicalmente modificato anche perchè esso incide in modo significativo sulla crescita della popolazione, investe cioè il problema demografico di un popolo che lentamente si avvia all’estinzione perchè le famiglie, prime le donne, non vogliono e non possono fare più figli, perchè non hanno i soldi per mantenerli in maniera adeguata, né il tempo per accudirli ed educarli, obbligate come sono a lavorare per sopravvivere.

Viviamo quella che è la dissoluzione dello Stato, fra spinte scissionistiche e volontà di privatizzare tutto quello che, viceversa, ricade nella responsabilità e nei doveri dello Stato.

Non si può appaltare l’educazione e l’istruzione dei nostri figli alla buona volontà di consigli regionali e comunali o alla sensibilità di quanti pongono il profitto al di sopra di tutto e vedono nei bambini un mezzo di mero guadagno.

Anche se questa è l’epoca triste di un tramonto del senso di appartenenza ad un popolo ed a una Nazione, dobbiamo esigere che lo Stato ancora formalmente esistente si faccia carico della costruzione degli asili nido, della preparazione del personale, della loro distribuzione nell’intero territorio nazionale.

Dobbiamo pretendere, pertanto, che si faccia carico degli asili nido il ministero dell’Istruzione, che rimane quello della Pubblica istruzione con buona pace di quanti vorrebbero trasformare le nostre scuole in convitti da affidare a sacerdoti e suore che sono apprezzabili, certamente, per la loro capacità di insegnamento, anche sotto il profilo disciplinare, ma non sono dipendenti dello Stato italiano al quale ancora tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado fanno capo.

Riconoscere agli asili nido la dignità e la funzione di “prima scuola” risolverebbe il problema delle competenze, dei costi per le famiglie facendo cessare ogni discriminazione sociale e di classe, dell’assunzione del personale, della costruzione, a quel punto obbligatoria, di asili nido secondo le necessità della popolazione residente.

Chiedere consenso, solidarietà e partecipazione ad una iniziativa di massa che obblighi i governi, questo e quelli che seguiranno, a intraprendere questa strada per la soluzione del problema dell’infanzia è quanto facciamo, senza alcuna discriminazione politica perchè l’esigenza che qui prospettiamo non scaturisce da volontà polemica nei confronti di questo o quello schieramento politico ed ideologico, ma risponde ad un’ esigenza non più rinviabile nel tempo che interessa centinaia di migliaia di famiglie italiane.

Poniamo il problema, e non ci fermeremo qui perchè il rispetto per i bambini e le loro famiglie ci impone di continuare a farlo presente fino ad ottenere quei risultati che la necessità richiede.

Vincenzo

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Lettera

Milano, 11 febbraio 2010

Gentilissima Francesca,
Le chiedo ospitalità sul Suo bellissimo blog per dare spazio al pensiero di un uomo che segue, in modo costante e con estremo interesse, il dibattito sul mondo dell’infanzia che appare sempre più al centro dell’attenzione e, paradossalmente, sempre più lontano dalla realtà in cui l’infanzia dovrebbe far valere i suoi diritti.
Inizio da una constatazione: in Italia, come nel resto dell’Europa, l’attenzione verso l’infanzia si accompagna al processo d’ invecchiamento graduale e progressivo della popolazione.
E’, questo interesse, la conseguenza di un sempre minor numero di bambini nel nostro Paese e in quelli europei in genere.
Si è scoperto l’esistenza di un patrimonio da tutelare e da difendere, ma nessuno fino ad oggi, a livello politico, è riuscito da dire esattamente da cosa bisogna proteggere l’infanzia, come farlo e quali mezzi adottare.
Sarà una mia impressione, ma credo che in questo disorientato e confuso mondo attuale, si è fatto ogni cosa per distruggere la famiglia tradizionale, quella che un tempo suddivideva i ruoli fra gli uomini che avevano il dovere di lavorare e mantenere in maniera decorosa la moglie e i figli, e le donne che avevano il diritto di essere madri e di dedicarsi ai figli.
Oggi, dopo decenni di assillante propaganda, si è imposto il concetto della parità dei doveri fra uomo e donna anche in seno alla famiglia. La donna vuole, quindi, avere la. sua vita, i suoi piaceri, la sua carriera professionale, la, sue gratificazione sociali e ritiene il ruolo esclusivo di madre limitativo per la sua personalità e per la sua realizzazione.
Le donne in carriera, le attrici, le manager, le miliardarie che la televisione ci mostra come mamme tenerissime, hanno in realtà baby-sitter e “tate” che si occupano dei loro figli, per la cui educazione hanno lo scarso tempo che il lavoro loro lascia.
Le donne comuni, quelle che vivono di stipendio, devono invece scegliere se avere figli, quando averli, quanti averne perché non potendo pagare baby-sitter e “tate” devono essere loro a provvedere ai bisogni dei bambini che mettono al mondo.
Manco a dirlo, hanno spiegato alle donne che prima di avere figli è giusto che si godano la loro giovinezza, che i sacrifici per la famiglia devono essere equamente divisi fra marito e moglie, che la responsabilità dell’educazione ricade su entrambi, cosi come quella del loro mantenimento.
Mi chiedo, a questo punto, se qualcuno ha preso più in considerazione il fatto che i bambini, almeno fino ad una certa età, hanno bisogno di quell’amore che solo la madre riesce ad esprimere in senso totale e compiuto.
L’uomo,per quanto affetto riservi ai suoi figli, non potrà mai sostituire la madre nel dare quella tenerezza che i bambini necessitano, perché il “mammo” non esiste e non potrà essere creato dalla televisione e dall’onnipotente potere mediatico.
Solo fra le braccia della madre un bambino di un anno, due, magari tre, si sente confortato e rassicurato perché essa rappresenta per lui la dolcezza di cui ha bisogno.
In altre parole, come si pretende di tutelare l’infanzia dopo aver progressivamente abolito il ruolo della madre, averne sminuita la figura, facendola apparire come una professione senza retribuzione?
Cosa possono necessitare i bambini se non l’amore di una madre? Amore che si esprime con la presenza costante in casa, accanto ad essi, con la voce, le carezze , i baci, il contatto corporeo con lei.
Certo una donna soldato amerà i suoi figli come qualsiasi altra madre, ma quanto tempo potrà loro dedicare? Poco, perché torna a casa dal lavoro stanca, come chiunque lavori, e sarà così la mamma della domenica e dei giorni festivi.
Non si vuole né si può tornare indietro? Ma non si dica che si possa trovare un surrogato all’amore della madre. Si dica che si vogliono proteggere i bambini dai pericoli di un mondo sempre più imbarbarito dove gli “orchi” possono essere gli stessi genitori, ma si ammetta che che li si condanna a crescere senza affetto e tenerezza, in un mondo in cui il giocattolo costituisce il bacio che manca, la carezza che non c’è, le ore passate in braccio ad una madre assente.
La mia lettera potrà essere bollata come “qualunquista”, ma credo che esprima il pensiero di tanti della mia generazione che, in un mondo molto più povero, senza televisione e scarsi giocattoli, abbiamo però avuto la fortuna di avere un’infanzia serena, frutto della presenza dei genitori e, soprattutto, di quella donna che realizzava se stessa nell’essere madre e anteponeva l’amore per i suoi figli ad ogni interesse.
Nel ringraziarla per la cortese pubblicazione, Le porgo i miei complimenti per il Suo blog e i miei auguri per la Sua encomiabile azione a favore dell’infanzia.
Vincenzo

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Tratto da “La Stampa” (di Pierangelo Sapegno )

(URL=http://www.disinformazione.it/televisione.htm)

ROMA

Fa davvero così male la tv ai bambini? Secondo uno studio dell’American Academy of Pediatrics può addirittura portare un piccolo durante la sua crescita al cosiddetto Attention Deficit Hyperactivity Disorder, in pratica un disturbo da deficit di attenzione con iperattività, definito dagli scienziati ADHD oppure ADD in UK. Ne è affetto il 12% dei bambini statunitensi, e questa condizione particolare ha cominciato a diffondersi negli States proprio durante gli ultimi cinquant’anni, guarda caso proprio con l’avvento della scatola magica dentro le nostre case. L’American Academy of Pediatrics ha preso in esame duemila bambini da uno a tre anni, li ha spiati, seguiti e analizzati e il risultato dello studio è stato inequivocabile: tutta colpa della tv. Fra l’altro si tratterebbe di una ricerca molto importante anche perché dimostrerebbe per la prima volta che i neuroni del cervello di un bambino si sviluppano in maniera diversa se resta attaccato allo schermo per qualche ora al giorno. Sarebbe la velocità delle immagini che deformerebbe il suo senso della realtà. Il dottor Dimitri A. Christakis, direttore del Child Health Institute at Children’s Hospital and Regional Medical Center, di Seattle, che ha condotto questa ricerca, sostiene che guardando la tv si ricostruisce il cervello di un bambino. Il danno appare più evidente dai 7 anni quando il piccolo ha difficoltà a prestare attenzione a scuola. «Al contrario della vita quotidiana», dice Christakis, «il passo della tv è molto accelerato rispetto alla realtà di tutti i giorni». Le immagini che un bimbo cattura nel suo cervello dagli schermi della scatola nera vanno troppo veloci e magari senza neppure una precisa connessione logica: «Così la loro rapidità diventa normale per quei bambini che in realtà non sono più normali», aggiunge Christakis. Come disse Jane Healy, psicologa dell’infanzia, il problema è capire se il rumore insistente della tv in una casa può interferire con lo sviluppo dell’«inner speech», la costruzione del discorso, il passaggio da quello che si sente dentro a quello che si esprime, dal quale un bambino impara a pensare attraverso i problemi, i progetti e la riflessione.

Lo sviluppo cerebrale rischia di fermarsi

Un bimbo che gioca con le sue dita ha il sistema neurale che gli viene proprio dal flettere, tirare e stirare ed esercitare quelle dita. La stessa cosa avviene per il cervello, che deve in pratica allenarsi nello stesso modo. Gli scienziati, però, ci spiegano pure che il cervello sviluppa un sistema unico dalla nascita ai tre anni. E se un bambino siede come ipnotizzato davanti a qualcosa, quelle vie neurali non si creano. Questo è l’importante sviluppo del cervello che rischia di fermarsi all’età di tre anni. Certo, sembra impossibile che qualcosa di così innocente come anche solo un programma educativo della tv possa nuocere tanto. «Non riesci a pensarlo», dice Claire Eaton, 27 anni, da Lewisham, Australia, al giornalista Jean Lotus che ha costruito un lungo servizio sull’ADHD. «Basta davvero una mezz’ora di pace e di quiete in casa per creare dei problemi al futuro di tuo figlio?».

I danni si riscontrano all’età di 7 anni

Possono genitori che si servono di video come «Baby Einstein» e «Teletubbies» portare i loro figli al rischio di una vita passata nelle ”Classi speciali” o a riempirsi di Ritalin, che è un calmante tipo Tabor da somministrare ai più piccoli? Nella sua ricerca condotta su duemila bambini, Christakis ha trovato che per ogni ora passata alla tv nell’età compresa fra uno e tre anni, i soggetti più piccoli hanno quasi il dieci per cento in più di probabilità di sviluppare problemi di attenzione che possono essere diagnosticati all’età di 7 anni come ADHD. Un bimbo ai primi passi che invece si puppa tre ore di televisione al giorno ha il 30% in più di probabilità di avere seri difficoltà a scuola.

Insonnia e ritardo nel linguaggio

Come si manifesta nelle sue forme più elementari questa malattia? Un esempio potrebbe essere quello di M., un bambino di dieci anni. Dai dati anamnestici si rivelano: l’assenza di problemi antecedenti familiari per problemi di linguaggio o di apprendimento; la presenza, nei primi periodi della sua vita, di un sonno irregolare con frequenti risvegli notturni. Le tappe dello sviluppo motorio sono risultate nei limiti della norma, mentre si è evidenziato un ritardo nello sviluppo del linguaggio, con lieve compromissione sia delle componenti fonologiche che di quelle semantiche e sintattiche. Con l’ingresso nella scuola elementare il bambino ha manifestato ritardo nell’apprendimento di lettura e scrittura. Frequenta regolarmente la quinta elementare, ma con uno scarso rendimento scolastico, per la presenza di cadute soprattutto nella capacità di rievocazione di racconti, di attenzione e concentrazione durante lo studio, nel ragionamento logico e nell’esecuzione dei problemi. Secondo genitori e insegnanti, il bambino ha sempre presentato difficoltà a portare avanti da solo i compiti assegnati e una tendenza a «non stare a sentire».

Esistono altri modi per distrarre i figli

Il 26% dei bambini americani ha una tv nella sua stanza, e il 36 per cento delle famiglie americane lascia la tv accesa quasi tutto il tempo, anche quando non c’è nessuno a guardarla. Eppure le buone notizie vengono dalla medicina: in realtà i bambini più piccoli non hanno nessun bisogno di una tv per distrarsi, come dimostra non solo la nostra storia visto che fino a 50 anni fa siamo riusciti a farne a meno. «Il tuo bambino può crescere benissimo imparando a vivere con se stesso o a giocare sotto la tua supervisione», scrive Jean Lotus nella sua inchiesta. Lasciare i bambini da soli con la tv non è proprio una bella idea, dice invece Nancy Hall della Yale University’s Bush Center in Child Development and Social Policy. «Ti sentiresti davvero di far passare il tempo di tuo figlio assieme a una baby sitter così speciale come il set di una televisione?».

Una malattia cresciuta insieme alla televisione

Conclusioni. Questa malattia colpisce il 12% dei bambini americani in età scolastica ed è cresciuta drammaticamente negli ultimi cinquant’anni. Altre ricerche avevano già dimostrato che l’ADHD era aumentata di pari passo con l’avvento della tv nelle nostre case, a partire dagli Anni 50, e che si era impennata ancora di più a partire dagli Anni 80, quando sono arrivati di moda i registratori e i video per bambini. Sappiamo che la malattia è anche genetica, ma gli scienziati hanno notato che è trasversale a tutte le classi sociali, che colpisce indifferentemente senza distinzioni di reddito e cultura, e che potrebbe esserci forse una causa unica legata al suo espandersi. Quest’ultima ricerca potrebbe aver risposto a questa domanda: guardar la tv per i bambini sarebbe un pericolo.

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