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Posts Tagged ‘figli’

L’ attenzione di milioni di italiani, sollecitata, dalla spettacolarizzazione compiuta dai soliti mezzi di comunicazione di massa, è concentrata sull’omicidio della quindicenne Sara Scazzi ad opera dello zio.

Poco da dire sulla ferocia con la quale un uomo che questa ragazza aveva visto crescere, giorno dopo giorno, ha infierito su di lei, violentandola, e strangolandola, per poi fingere dolore e lacrime dinanzi alle telecamere.

La barbarie del gesto si commenta da sé. Le parole non servono per condannare l’omicidio e la violenza compiuta su una ragazza di 15 anni, servirebbe una sentenza esemplare che, naturalmente non sarà mai emessa.

Mentre il corpo di Sara giace ancora in obitorio, i dibattiti televisivi che si sono susseguiti per l’intera giornata hanno offerto il solito ignobile spettacolo della ricerca di “spiegazioni” e di attenuanti per l’omicida che, manco a dirlo, soffre di “carenze affettive” e via blaterando, e per esprimere la ferma condanna della pena di morte che la gente normale e per bene invoca, sostituita da una pena detentiva che consenta il recupero dell’assassino.

Devono ancora fare i funerali di Sara, ma il problema, è la rieducazione del “mostro” ed il suo ritorno in società, magari estorcendo il perdono dei familiari della vittima, secondo quella che è una prassi d’infamia consolidata.

Ma, in questi giorni di autunno, la nostra attenzione si è concentrata su due episodi di cui si è parlato poco, quasi niente.

Una madre ha strangolato il figlio di 3 anni, una seconda ha ucciso il figlio appena partorito, con la complicità del padre e di altre persone.

Mentre la violenza e l’omicidio di Sara rientrano nella storia infinita di episodi simili che vedono come vittime donne giovani e giovanissime, la facilità e la frequenza con cui donne, in numero sempre maggiore, uccidono senza pietà i loro figli,rappresenta un fenomeno nuovo e agghiacciante.

Alla base della soppressione violenta dei figli, tutti in tenerissima età, ci sono motivazioni che spaziano dalla voglia di fare carriera, alla depressione post-parto, alla necessità di lavorare, a quella di compiacere il compagno che figli fra i piedi non ne vuole, non una sola in grado di favorire la comprensione di quello che sta accadendo nelle coscienze di donne che hanno soppresso l’istinto materno trasformandosi nei carnefici dei propri figli.

Se la ferocia degli uomini verso le donne è cosa tristemente nota, quella delle madri verso i propri bambini rappresenta il segno più evidente di una barbarie che avanza senza incontrare alcuna resistenza.

Insieme alla donna soldato, alla top manager, alla pornostar, alla escort di lusso e di successo, alla “velina” e alla modella, alla donna libera, che dispone di sé stessa come meglio le aggrada, la modernità ha creato la donna boia dei figli che ha partorito.

L’unica motivazione che spiega, su un piano psichiatrico, l’omicidio di un figlio da parte di una madre è la depressione post-parto, che deriva però dalla solitudine in cui si trova una madre alle prese con i problemi , da sola, non riesce ad affrontare e a risolvere, o più semplicemente che non è in grado di gestire il figlio che ha messo al mondo.

Vuol dire che questa società che si pretende evoluta, che si vanta di aver dato libertà alle donne, è riuscita a cancellare in esse l’istinto ed il senso della maternità.

I figli sono un problema che, sempre più spesso, la donna non sa come risolvere perché si ritrova, sola a doverlo affrontare e di conseguenza, diventano un peso dal quale in qualche modo si devono liberare, in modo lecito e, sempre più spesso, in maniera illecita, sbrigativa, definitiva.

Se non c’è la possibilità di avere la “tata”, di portarlo all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia, di toglierselo dai piedi per gran parte della giornata, il bambino che piange, che strilla, che cerca coccole che non può avere, che attende la pappa ed il gioco diviene un peso intollerabile.

Può una madre sopprimere in modo brutale un figlio? Le tigri non lo fanno, qualche cagnetta ha trascinato neonati abbandonati nella foresta nella propria cuccia, impietosita per la sorte orribile alla quale era stati destinati dagli uomini.

Quando nel cuore e nella coscienza delle madri, muoiono l’amore e la pietà per i figli, parlare di società civile diviene derisorio, una laida presa in giro per evitare di affrontare la realtà di un mondo che non sa più cosa sia la civiltà, confusa con il progresso tecnologico e tanto, ma tanto buonismo.

Bisogna, ora, difendere i diritti umani dello zio di Sara, primo quello del suo recupero sociale, così come quello di Anna Maria Franzoni la cui ricca famiglia è riuscita a mobilitare tutti per evitare che pagasse per il selvaggio omicidio del figlio, e via enumerando tutti i casi in cui in questa società civile conta solo la salvaguardia dei diritti di chi uccide mai il senso di giustizia per chi è stato ucciso.

Quante giovani mamme sono ora rinchiuse negli ospedali psichiatrici per aver ucciso i loro figli?

Non lo sappiamo. Sappiamo che non è vero che siano tutte afflitte da turbe mentali.

Tacere significa eludere il problema. Lo Stato, se esistesse, potrebbe fare molto per le mamme giovani garantendo loro il posto di lavoro, anche dopo un congruo periodo di inattività perché si possa occupare del figlio, incentivi economici, riconoscimenti sul piano sociale perché possa scoprire l’orgoglio ed il piacere di essere mamma, più gratificanti dell’essere una “velina”.

Si può, si deve aiutare le donne a riscoprire che essere madri non è una condanna sociale, che i figli non sono un peso che tolgono la possibilità di lavorare o di divertirsi o di fare carriera come modella od altro, che possono prendere a pedate nel deretano i loro inutili compagni, ma tenersi stretti al petto i loro figli che sono parte di sé stesse.

E se tantissimo si può fare per venire incontro alle esigenze delle donne che diventano madri, si può anche, di converso, evitare di trasformare una madre che ha ucciso suo figlio in una star televisiva almeno per evitare possano essere indotte ad emularle nella speranza di incontrare la stessa benigna sorte.

In questo modo, un poco per volta, riusciremo a ritrovare la civiltà perduta.

Vincenzo

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Una recentissima sentenza della Corte di cassazione ha stabilito che una coppia che intende adottare un figlio non possa e non debba specificare quali siano le caratteristiche etniche e razziali del bambino.

In parole semplici, la Corte di cassazione ha sancito che debba esistere un “mercato” delle adozioni nel quale i commercianti che si spacciano per “volontari” intruppati in varie associazioni, hanno il diritto di vendere il “prodotto” che vogliono, a loro insindacabile scelta.

La decisione della Suprema Corte vuole avere un significato anti-razzista, ovvero ribadire che tutti i bambini hanno il diritto di essere adottati a prescindere dal colore della loro pelle.

Giusto. Siamo i primi a difendere questo diritto, ma non si comprende perché esso debba violare il diritto della coppia ad avere un figlio od una figlia come magari hanno sempre sognato di averli, con quelle caratteristiche fisiche che sono congeniali al loro modo di concepire i figli che per ragioni di forza maggiore non possono avere.

Non c’entra il razzismo. Se una coppia di italiani desidera adottare un bambino italiano, di razza bianca, di carnagione bianca, di capelli magari biondi, perché così lo sognavano, non perché razzisti e “nazisti”, non si comprende perché i commercianti devono imporgli di adottare un piccolo negro, certamente tenero come tutti i bambini che, però, non è adatto per colmare il vuoto di affetto che esiste in quella coppia.

La televisione si è compiaciuta di dirci che l’Italia è al secondo posto, dopo gli Stati uniti, nell’adozione di bambini stranieri, ben quattromila lo scorso anno.

C’è qualcosa che non va. Non crediamo che non esistano più nel nostro Paese bambini e bambine da adottare, ai quali dovrebbe essere data la precedenza sui bambini stranieri perché sono figli della nostra terra, perché magari già parlano la nostra lingua, perché hanno bisogno di affetto e di aiuto esattamente come i bambini negri, gialli, di altre razze e di altre etnie.

Non si può conclucare il diritto di una coppia di italiani ad avere un figlio che risponda ai loro desideri in nome dell’anti-razzismo, così che la sentenza della Corte di cassazione non risponde al senso di giustizia.

Sarebbe, viceversa, necessario aprire un’indagine sulle associazioni di volontariato che hanno monopolizzato il “mercato” delle adozioni sul piano internazionale e che hanno imposto un monopolio inaccettabile in qualsiasi Paese civile.

Chi sono questi volontari, chi li paga, come si mantengono le loro associazioni, quali sono i loro collegamenti internazionali, con quali criteri scelgono i bambini da adottare, quanto costa adottare bambini per il loro tramite?

L’anti-razzismo è un pretesto suscettibile di creare infelicità sia nelle coppie che nei bambini adottati. Ci garantisce la Corte di cassazione che un piccolo negro, sradicato dal suo Paese, sarà felice di vivere in un mondo bianco?

Ci garantiscono questi volontari che il bambino vorrà bene alla mamma bianca che parla una lingua diversa dalla sua?

Ci sembra che, in casi come questi, la prepotenza sia fatta, in egual misura, sulle coppie che vogliono adottare figli e su questi ultimi ai quali nessuno chiede il parere, nessuno si preoccupa del loro avvenire in un mondo estraneo a quello in cui sono nati.

Sarà il caso di ricordare che i bambini non sono merce da scambiare in un mercato globale, da spostare a piacimento da un continente in un altro, sono figli di una terra alla quale appartengono e nella quale dovremmo aiutarli a vivere.

Lo spettacolo di una pop star americana di dubbia moralità, miliardaria, che adotta bambini in Africa è un esempio del disprezzo verso questi ultimi, perché non avranno affetto, affidati in branco, alle varie “tate” che la cantante assumerà nel tempo, perché costei non ha tempo né voglia di occuparsi dei “figli” che acquista perché ha tanti soldi.

Magari, questi bambini cresceranno nel lusso ma a loro mancherà sempre quella tenerezza che solo una madre, anche una adottiva, sa dare e che un padre riesce ad esprimere.

I tanti mariti della pop star non avranno certo la volontà di occuparsi dei suoi figli adottati.

Sarebbe questo il modello da seguire, quello della pop star bianca e bionda che adotta bambini negri e li abbandona poi alle cure della tata di turno?

Crediamo di no. Siamo persuasi che come tutti i bambini, anche quelli adottati dalla stravagante miliardaria americana preferirebbero avere una madre e un padre dai quali essere amati e coccolati, ma ad essi nessuno ha chiesto il parere ed il consenso.

II fatto di essere il secondo Paese nel mondo nelle adozioni internazionali non ci riempie di orgoglio, ci rattrista perchè è segno di confusione mentale, di un lavaggio cerebrale, di voglia non di tenerezza ma di status sociale, di vanteria come è l’esibizione del piccolo negro portato a forza in un Paese estraneo ma prova vivente della “bontà” e dell’anti-razzismo dei genitori adottivi.

Quello dell’infanzia è un campo così delicato che non può essere lasciato all’arbitrio dei “volontari” di questa o di quell’associazione, ma che deve essere regolato dallo Stato e dalle sue leggi perché in gioco non il razzismo o l’anti-razzismo degli adulti bensì il futuro e la felicità degli adottati.

Per noi è così. Per i “volontari” e per la Corte di cassazione evidentemente è il contrario.

Una ragione in più per dire no allo sfruttamento e alla commercializzazione dei bambini per motivi di propaganda politica o per altri sui quali sarebbe opportuno aprire un’indagine giudiziaria.

Vincenzo

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Non si può prescindere dall’affrontare, su un sito che si occupa dei diritti dell’infanzia, l’argomento relativo alla pratica dell’aborto.

Senza tanti giri di parole, lo definiamo per quello che esso è: un omicidio legalizzato con l’aggravante delle motivazioni futili se non quando abiette.

E’ una posizione drastica, certamente, che però riposa su una riflessione ed una constatazione in merito alla superficialità con la quale tantissimi giovani e meno giovani ritengono di poter ricercare il loro piacere senza curarsi delle conseguenze che da essa possono derivare.

In un paese come il nostro, blaterare che l’aborto è una necessità per tante coppie che non hanno la possibilità di mantenere i figli è voler offrire un alibi a quanti, viceversa, si fanno forza della esistenza di una legge che consente l’infanticidio per procreare e, poi, regolarmente ammazzare i nascituri per indifferenza nei confronti della vita umana e del suo valore.

Esistono i mezzi per fare sesso senza procreare figli. Riteniamo già squallido il fare sesso per mero divertimento,per noia esistenziale, per fare esperienze, per concludere una serata in discoteca, per godersi la vita, perché riteniamo che alla base dell’accoppiamento ci debba essere un po’ di tenerezza, un minimo di sentimento, se non proprio amore qualcosa che gli somigli. Viceversa, grazie alle mode importate dall’America e diffuse nel nostro Paese da intellettuali dell’area radicaloide, ormai anche le undicenni non si sentono realizzate se non hanno avuto il loro maschio, meglio se più di uno.

Se i modelli sono quelli che ci presenta la televisione pubblica e privata, non possiamo certo scagliarci contro i ragazzini e le ragazzine ai quali s’impongono come modelli maschi disponibili a tutte le esperienze e donne che hanno reso felici alcuni reggimenti se non proprio interi corpi d’armata di maschi, in nome della libertà della donna.

Abbiamo un’altra concezione della libertà della donna che non sia quella di saltare, per una vita intera, da un letto ad un altro, per cui ci diventa impossibile comprendere perché quando accade l’imprevisto di restare incinte debbano ammazzare la vita che hanno nel loro grembo, invece di consentire ad essa di prendere corpo ed anima.

Lo stesso ragionamento vale per gli uomini che meno che mai oggi si sentono responsabili se la compagna di letto (non osiamo dire del cuore) rimane incinta.

Impegnarsi per far riscoprire ai giovani il valore della vita è oggi un imperativo per quanti ritengono che esistano ancora, nonostante, valori da difendere e principi da affermare.

In un mondo in cui gli stessi squallidi personaggi che si presentano,con aria affranta e commossa in televisione, per invocare la grazia per stupratori omicidi perché la “vita è sacra”, sono in prima fila a propagandare il libero aborto, è giunto il momento di ristabilire la verità: la vita innocente è sacra e non deve essere soppressa perché i genitori sono troppo giovani, non hanno sufficienti mezzi economici o si devono ancora godere la vita e non si sentono all’altezza di allevare ed educare i figli.

Dall’aborto all’infanticidio dichiarato il passo è stato breve. Quante sono le madri che, oggi, uccidono i loro figli? Porse, non si è mai vista una simile barbarie che nulla giustifica men che mai la loro condizione sociale.

La realtà è che è stato inculcato in uomini e donne il disprezzo per la vita dei figli, anteponendo ad essa i loro interessi e le loro necessità.

Quando ci si accoppia non per amore ma per divertimento è normale (è triste dirlo) che non si vogliano avere conseguenze e che, insieme, i protagonisti del “gioco” decidano di sbarazzarsi in fretta del frutto del loro incontro, cancellando subito la scintilla della vita che, per essi, non ha più alcun significato.

Se sarà lungo e difficile ricostruire ciò che in mezzo secolo è stato distrutto dalle classi dirigenti dominanti e dagli intellettualoidi di area radicale, si può però imporre per legge una limitazione all’aborto richiedendo che per praticarlo si dimostri lo stato di necessità, ovvero le ragioni imperiose che impongono di abortire.

Se queste sono di natura economica, che si provveda. Lo Stato, gli enti locali, le Regioni esistono anche per queste ragioni, per intervenire a favore dei più disagiati, in caso contrario i bambini hanno il diritto di vivere anche a costo di affidarli in adozione, privilegiando i piccoli italiani rispetto agli extra-comunitari che fa tanto chic adottare per dimostrare di non essere razzisti.

Forse, portare i ragazzi e le ragazze a visitare i reparti di maternità potrebbe essere utile per fargli scoprire quanta dolcezza e quanta tenerezza sappiano suscitare nei cuori la vista di un neonato che dorme nella sua culla il suo primo sonno da uomo.

Certo, ci sta a cuore il benessere di oche, foche, coccodrilli, macachi, la cui esistenza va garantita e la cui vita va salvaguardata.

Vogliamo convenire che la vita di un cucciolo d’uomo vale almeno quella di una foca?

Noi pensiamo che valga molto di più, però a tutti i fautori dell’aborto libero e indiscriminato consigliamo di adeguarsi a ciò che il mondo animale ci dimostra: in natura, non si uccidono i figli, non si sopprime la vita che una femmina porta dentro di sé”, e che prendano esempio dall’amore che una tigre ha per i propri cuccioli.

Magari in questo modo ci si rende conto che anche il piacere si può accompagnare al dovere di rispettare la vita e che darla e un privilegio, un dono al quale non si deve rinunciare per non uccidere una parte di sé stessi e tirare a campare chiusi nel proprio egoismo.

Se, poi, si tornerà a convenire che la procreazione è un atto di amore e non il prodotto di un’avventura fugace ed effimera, tutto sarà più facile.

Per arrivare a questo, però, converrà liberare le tigri e chiudere negli zoo radicali, intellettualoidi, femministe, ecc. compiendo un’operazione igienico-sanitaria di cui si avverte sempre più il bisogno.

Vincenzo

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