Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘genitori’

Il caso Ruby, la diciassettenne marocchina per la quale si è mosso il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi telefonando in Questura, a Milano, per ottenerne il rilascio dopo che era stata fermata per furto, tiene banco nelle sedi politiche e sui giornali per mere ragioni strumentali.

Perché non crediamo alla sincerità dei politici e dei giornalisti quando affrontano il caso di Ruby?

Per la semplice ragione che per noi lo scandalo non risiede nel fatto che abbia partecipato a una o più

feste nella villa di Silvio Berlusconi, quanto nell’abbandono in cui la ragazza viveva per colpa degli organismi preposti a vigilare sui minori.

Come ha fatto Ruby a partecipare, all’età di 16 anni, ad un concorso di bellezza, sfilando un costume da bagno sotto lo sguardo non certo paterno di tanti “intenditori”? Chi e quando ha indotto una ragazzina a scoprire che il suo corpo poteva servirle per fare soldi e carriera nel mondo dello spettacolo?

Nessuno si è preoccupato di impedire che Ruby venisse avviata sulla strada della prostituzione. Non i Tribunali dei minori, non i servizi sociali, non i “preti di frontiera”, non i giornalisti che periodicamente producono struggenti documentari sullo sfruttamento sessuale dei minori…in Cambogia e in Congo.

In Italia no, non se ne parla, non si fanno inchieste, non si grida allo scandalo per una baby-prostituta, ma solo perché ha partecipato ad una festa nella villa di Silvio Berlusconi.

Non ci va bene. Noi ci chiediamo chi protegge le Ruby d’Italia, chi le difende dalle sordide mire di chi cerca “carne fresca” da usare e piazzare, poi, sul mercato.

Il caso Ruby conferma che, in questo Paese, non esiste la tutela dei minori, ma solo l’ipocrita pretesa di essere all’avanguardia nella loro difesa imponendo, ad esempio, di coprire il viso dei minori che, per una ragione o per l’altra, finiscono sui giornali e sui telegiornali.

Abbiamo così potuto assistere alla tristissima e grottesca, insieme, visione in Tv delle immagini di Ruby che sfila, a sedici anni, seminuda ad un concorso di bellezza ma con il viso rigorosamente coperto.

Ascoltiamo, in questo modo, increduli una graziosa presentatrice televisiva annunciare, alle ore 23.45 la messa in onda di un film con la raccomandazione, “in caso di visione da parte dei bambini” della presenza dei genitori.

Ma i bambini, alle 23.45, non dovrebbero già essere a letto da un pezzo a dormire il sonno degli innocenti?

Cosa dobbiamo intendere per tutela dei minori, che questi ultimi hanno solo diritti, da quello di stare alzati la notte a vedersi i programmi televisivi, a quelli di ubriacarsi, drogarsi, fare sesso e prostituirsi?

Non sono questi i diritti che riconosciamo ai minori, che vengono ritenuti tali solo da quanti hanno rinunciato ad esercitare i loro doveri di adulti che hanno il compito di vigilare sui minori perché la loro infanzia e la loro adolescenza non si trasformino in incubi dai quali, spesso non riusciranno più ad uscire.

Il caso Ruby è un episodio di cui si dovrebbe vergognare l’intera società italiana, che dovrebbe essere preso ad esempio per rivedere le norme di tutela dei minori a cominciare dal divieto di far sfilare ragazzine, in costume da bagno, ai concorsi di bellezza perché possono attendere, se ne hanno voglia, fino ai 18 anni, sottraendole all’attenzione interessata di quanti, maschi, ritengono di poterne fare le partner per festini o meno.

Nessuno ha posto in rilievo, in questo caso, la totale integrazione di Ruby nel mondo occidentale, in quella che ancora hanno la faccia tosta di chiamare “civiltà occidentale”. Eppure Ruby è un marocchina di fede islamica, che ha buttato alle ortiche il Corano ed i vestiti per fare carriera nel mondo dello spettacolo dove non valgono le qualità artistiche ma quella di fare “buga buga” con chi può favorirla salvo, magari, ritrovarsi a fare la escort di lusso sino a quando il fisico lo consente.

E per restare in tema di “civiltà”, è di ieri l’episodio di un maresciallo dei carabinieri che uccide la figlia di 13 anni, cerca di uccidere quella di 15 anni e, infine, si ammazza, per un diverbio sull’uso di Facebook.

E’ vero, ci sono stati episodi in cui qualche pakistano ha ucciso la figlia che voleva andare a vivere con il “ragazzo”, e tutti ne hanno parlato come prova della barbarie islamica contro le donne, ma nessuno di loro ha mai ammazzato una figlia e tentato di ammazzare la seconda per Internet.

Non è un caso di squilibrio mentale. E’ la conseguenza tragica dell’impossibilità per un genitore di imporre la propria autorità ai figli.

Il maresciallo sapeva, anche per via del suo lavoro, che non aveva la possibilità, perché vietata dalla legge, di punire le figlie, chiudendole a case, dando loro uno schiaffo o, Dio non voglia, una bella sculacciata.

Ed esasperato dalla sua impotenza, incapace di imporre le sue ragioni, impossibilità di esercitare la sua autorità di padre, alla fine ha estratto la pistola e ha sparato sulle figlie “ribelli”, una di tredici e l’altra di quindici anni.

La maggior parte dei genitori si rassegnano a vedere i figli drogarsi, ubriacarsi, fare sesso, prostituirsi, se non quando se ne rendono complici, perché la loro figura ed il ruolo sono stati cancellati e sostituiti con quelli dell’ “amico” e dell’ “amica” dei figli.

Altri, viceversa, reagiscono con asprezza, a volta in modo estremo.

Non si può morire così a tredici anni, uccisa dal padre per Internet.

La tutela dei minori passa anche dal riconoscimento dell’autorità
e dell’autorevolezza dei genitori, i primi educatori dei figli, quelli che con amore li conducono per mano fino alla maggiore età, non amici né complici né spettatori passivi di quello che di sbagliato fanno i figli.

Genitori reintegrati nella dignità del loro ruolo, nella pienezza delle loro funzioni, anche sotto il profilo disciplinare, da perseguire e mandare in galera se fanno del male ai figli, ma liberi di usare la loro autorità, nei limiti del lecito e del giusto.

I genitori di Ruby si sono rassegnati dinanzi alla figlia ribelle, perché consapevoli che nella società italiana per loro non c’era altro posto che la galera se avessero preteso di imporre la loro autorità, ed oggi hanno figlia prostituta.

II maresciallo dei carabinieri non ha trovato altra soluzione che sparare sulle figlie ribelli e poi uccidersi a sua volta.

Sono due esempi della barbarie in cui è piombata una società, un tempo,civile.

Se si vuole costruire un futuro, dobbiamo allora guardare al passato, perché tutto rientri nell’ordine naturale delle cose, dove i genitori solo coloro che guidano e comandano, ed i figli quelli che seguono ed obbediscono.

Vincenzo

Read Full Post »

In questo ultimo decennio, ci hanno bombardato di informazioni per convincerci dell’utilità e dei vantaggi dei chip.

Ci hanno raccontato che questi chip servivano per monitorare gli acquisti dei capi di abbigliamento, per controllare il mercato dei medicinali contraffatti, per combattere il terrorismo, per evitare errori nella somministrazione dei farmaci nei pazienti,…

Tralasciando per un momento, gli enormi guadagni che queste società produttrici incasseranno dalla vendita di questi chip, è drammatico pensare come i burattinai stiano piano piano indottrinando e utilizzando, per i loro scopi, i bambini, inventando a tavolino sempre più espedienti per avere sotto controllo le persone più indifese, che a volte, hanno accanto adulti poco coscienti di quello che stanno facendo ai loro figli.

L’utilizzo di questi chip ci viene presentato, in questi giorni in Francia, come la soluzione più appropriata per ridurre i costi del personale di un servizio educativo, verificando al tempo stesso se questo sistema sia efficace in termini di sicurezza per i bambini.

Stanno cercando di comprare il consenso dell’opinione pubblica, sostenendo che i chip sono uno strumento valido per placare le ansie dei genitori, i quali saranno allertati immediatamente se il loro bambino scapperà dall’asilo.

Noi, invece, ci chiediamo come la sicurezza di un bambino possa essere ridotta ai suoi tentativi di fuga, certamente la sua sicurezza fisica deve essere salvaguardata così come lo deve essere però la sua sicurezza emotiva, quella “fiducia di base” che deriva dall’apprendimento di modalità positive di rapporto, un rapporto che certamente non può nascere tra il bambino e un chip inserito nel suo giubbotto, ma dal vivere relazioni positive con l’adulto.

Ci chiediamo, inoltre, come si possa conciliare la riduzione del personale (anche ausiliario) con una condizione (fisica ed emotiva) del bambino che riesca a garantire, al tempo stesso, il suo ben-essere.

Perché invece di ridurre i costi del personale non si vuole ridurre i finanziamenti per lo studio, la ricerca di microchip i cui compiti all’interno di un servizio educativo possono benissimo essere svolti da personale qualificato e preparato?

Vogliamo un bambino solo e controllato o un bambino integrato ed educato alla libertà?

Vogliamo che fra vent’anni questo bambino abbia la possibilità di diventare un adulto veramente libero oppure stiamo facendo il possibile perché questo non avvenga offrendogli un futuro nel quale vivrà quotidianamente scenari orwelliani che considererà “la normalità”?

Quello di cui, oggi, abbiamo bisogno non sono “chip intelligenti” ma adulti intelligenti, che sappiano impegnarsi per una “cultura dei diritti” in grado di godere di una propria “natura morale”: i diritti del bambino si realizzeranno solamente quando gli adulti assolveranno i loro doveri.

Read Full Post »

Una recentissima sentenza della Corte di cassazione ha stabilito che una coppia che intende adottare un figlio non possa e non debba specificare quali siano le caratteristiche etniche e razziali del bambino.

In parole semplici, la Corte di cassazione ha sancito che debba esistere un “mercato” delle adozioni nel quale i commercianti che si spacciano per “volontari” intruppati in varie associazioni, hanno il diritto di vendere il “prodotto” che vogliono, a loro insindacabile scelta.

La decisione della Suprema Corte vuole avere un significato anti-razzista, ovvero ribadire che tutti i bambini hanno il diritto di essere adottati a prescindere dal colore della loro pelle.

Giusto. Siamo i primi a difendere questo diritto, ma non si comprende perché esso debba violare il diritto della coppia ad avere un figlio od una figlia come magari hanno sempre sognato di averli, con quelle caratteristiche fisiche che sono congeniali al loro modo di concepire i figli che per ragioni di forza maggiore non possono avere.

Non c’entra il razzismo. Se una coppia di italiani desidera adottare un bambino italiano, di razza bianca, di carnagione bianca, di capelli magari biondi, perché così lo sognavano, non perché razzisti e “nazisti”, non si comprende perché i commercianti devono imporgli di adottare un piccolo negro, certamente tenero come tutti i bambini che, però, non è adatto per colmare il vuoto di affetto che esiste in quella coppia.

La televisione si è compiaciuta di dirci che l’Italia è al secondo posto, dopo gli Stati uniti, nell’adozione di bambini stranieri, ben quattromila lo scorso anno.

C’è qualcosa che non va. Non crediamo che non esistano più nel nostro Paese bambini e bambine da adottare, ai quali dovrebbe essere data la precedenza sui bambini stranieri perché sono figli della nostra terra, perché magari già parlano la nostra lingua, perché hanno bisogno di affetto e di aiuto esattamente come i bambini negri, gialli, di altre razze e di altre etnie.

Non si può conclucare il diritto di una coppia di italiani ad avere un figlio che risponda ai loro desideri in nome dell’anti-razzismo, così che la sentenza della Corte di cassazione non risponde al senso di giustizia.

Sarebbe, viceversa, necessario aprire un’indagine sulle associazioni di volontariato che hanno monopolizzato il “mercato” delle adozioni sul piano internazionale e che hanno imposto un monopolio inaccettabile in qualsiasi Paese civile.

Chi sono questi volontari, chi li paga, come si mantengono le loro associazioni, quali sono i loro collegamenti internazionali, con quali criteri scelgono i bambini da adottare, quanto costa adottare bambini per il loro tramite?

L’anti-razzismo è un pretesto suscettibile di creare infelicità sia nelle coppie che nei bambini adottati. Ci garantisce la Corte di cassazione che un piccolo negro, sradicato dal suo Paese, sarà felice di vivere in un mondo bianco?

Ci garantiscono questi volontari che il bambino vorrà bene alla mamma bianca che parla una lingua diversa dalla sua?

Ci sembra che, in casi come questi, la prepotenza sia fatta, in egual misura, sulle coppie che vogliono adottare figli e su questi ultimi ai quali nessuno chiede il parere, nessuno si preoccupa del loro avvenire in un mondo estraneo a quello in cui sono nati.

Sarà il caso di ricordare che i bambini non sono merce da scambiare in un mercato globale, da spostare a piacimento da un continente in un altro, sono figli di una terra alla quale appartengono e nella quale dovremmo aiutarli a vivere.

Lo spettacolo di una pop star americana di dubbia moralità, miliardaria, che adotta bambini in Africa è un esempio del disprezzo verso questi ultimi, perché non avranno affetto, affidati in branco, alle varie “tate” che la cantante assumerà nel tempo, perché costei non ha tempo né voglia di occuparsi dei “figli” che acquista perché ha tanti soldi.

Magari, questi bambini cresceranno nel lusso ma a loro mancherà sempre quella tenerezza che solo una madre, anche una adottiva, sa dare e che un padre riesce ad esprimere.

I tanti mariti della pop star non avranno certo la volontà di occuparsi dei suoi figli adottati.

Sarebbe questo il modello da seguire, quello della pop star bianca e bionda che adotta bambini negri e li abbandona poi alle cure della tata di turno?

Crediamo di no. Siamo persuasi che come tutti i bambini, anche quelli adottati dalla stravagante miliardaria americana preferirebbero avere una madre e un padre dai quali essere amati e coccolati, ma ad essi nessuno ha chiesto il parere ed il consenso.

II fatto di essere il secondo Paese nel mondo nelle adozioni internazionali non ci riempie di orgoglio, ci rattrista perchè è segno di confusione mentale, di un lavaggio cerebrale, di voglia non di tenerezza ma di status sociale, di vanteria come è l’esibizione del piccolo negro portato a forza in un Paese estraneo ma prova vivente della “bontà” e dell’anti-razzismo dei genitori adottivi.

Quello dell’infanzia è un campo così delicato che non può essere lasciato all’arbitrio dei “volontari” di questa o di quell’associazione, ma che deve essere regolato dallo Stato e dalle sue leggi perché in gioco non il razzismo o l’anti-razzismo degli adulti bensì il futuro e la felicità degli adottati.

Per noi è così. Per i “volontari” e per la Corte di cassazione evidentemente è il contrario.

Una ragione in più per dire no allo sfruttamento e alla commercializzazione dei bambini per motivi di propaganda politica o per altri sui quali sarebbe opportuno aprire un’indagine giudiziaria.

Vincenzo

Read Full Post »