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Posts Tagged ‘diritti’

Poche e fugaci immagini trasmesse da un telegiornale nazionale ci hanno fatto vedere l’arresto di un bambino palestinese di lì anni da parte di agenti della polizia israeliana.
Il bambino che tenta di scappare, i poliziotti che l’agguantano e lo scaraventano su un furgone, la madre che batte disperata i pugni sull’automezzo che si porta via il figlio.
Nessun commento da parte dei giornalisti. Solo la precisazione che il bambino dovrà testimoniare sul fratello di 14 anni che è stato accusato di aver lanciato pietre contro la polizia israeliana.
Fine del servizio. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe accaduto se la polizia palestinese avesse osato arrestare, in quel modo, un bambino israeliano di 11 anni, sotto la occhi della madre piangente.
Quindici giorni di dibattiti televisivi, messaggi di sdegno dai rappresentanti dei partiti politici e delle istituzioni, uno spettacolo degno del circo mediatico italiano.
In questo caso, un filmato di tre minuti trasmesso da un solo telegiornale, e poi il silenzio.
Nessuno si è chiesto con quali modalità sarà condotto l’interrogatorio di un bambino di 11 anni da parte della polizia israeliana, impegnata a convincerlo a testimoniare contro il fratello di soli 14 anni.
Nessuno ha scomodato i diritti dell’infanzia, ha chiesto l’intervento dell’Onu e dell’Unicef, ha osato deplorare il comportamento dei poliziotti israeliani.
In un Paese come il nostro, dove un bambino di 11 anni può essere indotto anche ad uccidere e non è considerato punibile, non ha suscitato sdegno il trattamento inflitto ad un bambino palestinese, non ha commosso il pianto disperato della madre.
Sono forse questi bambini quelli che minacciano l’esistenza dello Stato di Israele?
Sono, magari, loro i nemici di uno Stato che conta uno degli eserciti più potenti del mondo?
Dal nostro punto di vista, memori di altre immagini fra i quali l’uccisione di un bambino nelle braccia del padre ad opera dei soldati israeliani, ci sembra che Israele ed i suoi amici in Italia e nel mondo, siano essi i promotori di un odio che non si potrà estinguere fino a quando non si faranno scrupolo a perseguitare ed uccidere bambini.
Vogliamo spendere una parola per loro? Vogliamo chiedere che siano trattati con l’umanità che la loro età esige?
Fiumi di parole ascoltiamo tutti i giorni sulla necessità di difendere i diritti dei bambini nel mondo, ma la Palestina è forse un Paese alieno?
Non ci pare. La Palestina è uno Stato al quale viene negato ancora oggi il diritto di esistere e di vivere in pace, quello palestinese è un popolo che è stato espropriato della propria terra e cacciato in esilio, condannato a scomparire dalla storia.
Restiamo silenziosi, inerti, pavidi perfino di fronte alla brutalità della polizia israeliana nei confronti dei bambini palestinesi, magari fingendo si credere che una volta al commissariato, il “criminale” sarà interrogato ed indotto a testimoniare contro il fratello con coccole e caramelle, e non a bastonate di cui nessuno preferisce sentire il suono che accompagna le sue grida ed i suoi pianti.
Noi non chiudiamo gli occhi, non ci tappiamo le orecchie, non ci sigilliamo le labbra, perché non è opportuno o, più esattamente, non è conveniente criticare i metodi della polizia israeliana che si accanisce sui bambini.
Non è un problema politico, perché difendere i bambini, tutti i bambini ovunque essi vivano, è un problema di coscienza, di umanità e di civiltà.
Denunciamo ciò che i nostri occhi hanno visto e chiediamo che anche Israele sia indotto dalla comunità internazionale a rispettare i diritti dell’infanzia, a garantire la tutela dei minori, ad impiegare le proprie forze di polizia per proteggerli, non per perseguitarli, arrestarli, interrogarli e fare loro violenza fisica e psicologica.
Chiedere il rispetto dei diritti umani dei bambini è un dovere che non si dovrebbe eludere mai perché, in caso contrario, per coerenza, dovremmo abbandonare la pretesa di essere civili.

Vincenzo

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Gli occhi di Mohamad Zakaria Sulliman Salem Hajahjah sono tristi, incorniciati in un visino senza sorriso, consapevole già all’età di sette anni della sua esistenza di profugo palestinese senza futuro e senza speranza.
Fa male vedere la melanconia e la serietà nel viso di un bambino, perché la sua dovrebbe essere l’età della gioia, della spensieratezza, dei giochi felici e chiassosi, ma Mohamad Zakaria non ha mai conosciuto altro che la miseria in cui vive con la sua famiglia, un padre disoccupato, la mamma, due sorelline, una delle quali disabile.
Non può sorridere. E come lui altri mille ed altri mille ancora. Conosciamo tutti la situazione dei palestinesi, profughi nella loro terra, prigionieri di un potere israeliano che non potrà mai riconoscere la pienezza dei loro diritti perché dovrebbe restituire loro la Patria che gli ha sottratto con la forza delle armi.
Ma, ora, non ci interessa entrare nel merito del conflitto mediorientale, perché la nostra attenzione si volge ai bambini che ne sono le prime vittime, le più indifese, le più innocenti per chiederci cosa possiamo fare per loro.
In un terra lontana, non solo geograficamente, possiamo fare quel lo che la solidarietà suggerisce avvalendoci dell’opera preziosa dell’ “Associazione di amicizia italo-palestinese“, con sede a Firenze, in viale Matteotti n. 27, diretta da Mariano Mingarelli e Marina Maltoni.
Un’associazione senza scopi di lucro, apolitica nel senso che non esprime un’ideologia e neanche una posizione politica in senso proprio, fermo restando che è schierata con il popolo palestinese e la sua causa, peraltro condivisibili da tanti, da tutti se tutti conoscessero la storia e la sofferenza di questo popolo.
L’associazione si occupa di bambini, di coloro che innocenti paga no il prezzo più alto di una guerra che l’indifferenza del mondo ha reso eterna e senza fine.
Tante volte, su questo sito, abbiamo parlato dell’infanzia, dei bambini che sono il nostro futuro, che rappresentano l’avvenire di una umanità che non sa più come crescerli e che ostenta spesso nei loro confronti una crudeltà che ricopre d’ignominia un mondo che si definisce civile.
Fra questi bambini dimenticati ed oppressi, spiccano quelli della Palestina di Gaza, dei campi profughi, della miseria e del pianto che nessuno osa mostrare in televisione per timore di apparire anti-israeliano, quando viceversa parlarne ed occuparsi di loro significa semplicemente non rinunciare alla propria umanità in nome della politica.
Faremo per loro tutto quello che è nelle nostre possibilità fare perché lo suggerisce e lo impone la coscienza e l’amore per l’infanzia che consideriamo al di sopra delle parti, dei conflitti, della politica e delle ideologie.
Non sappiamo quanto la nostra azione potrà portare giovamento a questi bambini, ma la porteremo avanti con costanza ed impegno, sperando che un giorno sul viso di uno tanti Mohamad Zakaria si possa scorgere l’ombra di un sorriso ad illuminare i visini tristi e melanconici di chi nulla ha ma avverte la presenza di quanti sono loro vicini nella speranza che per loro ci sia un futuro che non sappia solo di fame, di morte e di prigionia, ma che abbia il sapore della vita e della libertà.

Vincenzo

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Spesso abbiamo dovuto fotografare dalle pagine di questo sito dedicato all’infanzia ed alle donne, l’impietosa realtà di un mondo che calpesta i diritti dei bambini, degli adolescenti e dell’altra metà del cielo.
All’inizio del nuovo anno, nulla ci giunge a conforto della speranza che qualcosa possa cambiare in meglio.
La cronaca di questi giorni ci ripropone le tragedie alle quali ormai siamo assuefatti e che sono divenute strumento di mera speculazione giornalistica.
A giorni, ricomincia su Rai Tre “Amore criminale”, una trasmissio ne dedicata alla ricostruzione di omicidi di donne, ad opera di mariti, conviventi, fidanzati, compagni di vita.
130 ogni anno, in Italia, muoiono in questo modo.
Forse, a nostro avviso, non servirebbe ricostruire le scene agghiaccianti e, spesso, morbose di questi delitti per fare audience, quando sa rebbe necessario dire se e come sono stati puniti i loro assassini, quando individuati e giudicati.
Parole amare potremmo scrivere su questo sfruttamento del delitto e delle vittime, oltraggiate anche dopo la morte, ma vogliamo iniziare il 2011 in altro modo, dedicando il nostro pensiero ai bambini e alle donne che vivono nella quotidianità di una vita, a volte precaria e difficile, con la forza ed il coraggio di chi non accetta un destino che li vuole eternamente subalterni, vuoi per età vuoi per sesso.
Nulla intenerisce più del sorriso dei bambini, dei loro sguardi limpidi, delle vocine ancora incerte che iniziano il cammino della vita, accompagnati dalla guida di genitori che li ritengono il fine ultimo della loro vita e li amano come i padri e le madri sanno amare.
Nulla è più gioioso del riso di una donna, più dolce di una sua carezza che rasserena e conduce in un mondo in cui non c’è spazio per i cattivi sentimenti, ma solo per quell’amore che è eterno come eterno è l’ Universo.
Non esiste un mondo senza bambini e senza donne che possa conoscer e felicità, perché sono loro che ne possiedono le chiavi, loro che possono donarla e rendercene partecipi.
La speranza è, quindi, quella che sempre più uomini possano com prendere, senza costrizioni o lavaggi cerebrali, quello che in fondo sanno fin dalla nascita, quando si abbracciavano alla madre, che la gioia dei cuori, anche quelli più inariditi, ci proviene dalle nostre donne e dai nostri figli.
Non è la gioia dei sensi, perché non sono, le nostre donne, mero strumento di piacere, ma qualcosa di molto più significativo che riempie un’intera esistenza e mai tradisce.
La speranza è che si riscopra la verità, oggi occultata, che l’amo re nelle sue realtà, spirituali e non fisiche, lo proviamo solo quando riusciamo a farci amare dai figli e dalle donne.
In un mondo confuso e disorientato, come quello in cui oggi vivia mo, dove si pretende di rendere eguali tutti e tutte, formando una nuova specie umana di esseri che non sono del tutto maschi e non sono del tutto femmine, l’ostacolo insuperabile ad ogni osceno disegno sono proprio le donne, la cui femminilità non è imitabile né trasmutabile, così che esse rimangono la vita e non potranno mai esserne la negazione.
Il ciclo eterno della vita passa per la donna, il frutto del suo amore sono i figli che rappresentano la continuità della vita, non solo di una specie.
La tecnologia moderna riduce l’uomo ad un animale da riproduzione, ma senza il corpo di una donna la vita non può nascere.
E noi riteniamo che essa debba nascere dall’amore, non dalla tecnologia perché i figli abbiano una madre ed un padre e quest’ ultimo, a sua volta, abbia possibilità di farsi amare da loro e dalla sua compagna.
Sono considerazioni che potrebbero essere giudicati banali, e lo sarebbero state in altri tempi, ma oggi hanno il valore intrinseco della riscoperta di un mondo che, via via, sta scomparendo a favore dalla moltiplicazione di novelli Frankstein creati in laboratorio o nelle sale chirurgiche.
La speranza è che si levi, pian piano, uno inno alla vita la cui verità non è contorta, è semplice ed immutabile, non soggetta a modifiche ed esperimenti.
La presunzione di certe élites è destinata ad infrangersi insieme ai mondo da incubo che stanno, un poco per volta, cercando di costruire nel momento in cui si farà strada la consapevolezza che la via della vita è una sola, da percorrere in due: una donna ed un uomo insieme, e con essi i loro figli.
Ma l’amore verso una donna non basta. Deve essere accompagnato dal rispetto e dalla stima che sono il corollario stesso dell’amore, e da questo non possono prescindere.
L’ augurio è, infine, quello che gli uomini possano ritrovare sé stessi e l’onore oggi perduto, quello che imponeva di difendere la donna e i bambini, anche da sé stessi, dalla propria ira, dai propri sentimenti quando feriti, perché chi infierisce su una donna o sui bambini non ha onore né dignità, va emarginato con giusto disprezzo.
Non sarà facile, in un mondo in cui le donne vengono esposte sulla linea del fuoco nei fronti di guerra in nome di una inesistente parità, con buona pace dell’onore militare, ma bisogna iniziare quel cammino a ritroso che, passo dopo passo, ci riconduca al momento in cui è iniziato quel processo che, in nome del progresso dell’umanità, ci sta conducendo all’autodistruzione.
Solo una donna, Carlotta Corday, ebbe il coraggio di levare il pugnale sul giacobino Marat.
Sarà ancora una donna, in modo meno cruento, a dare il segnale della riscossa?
Ce lo auguriamo.

Vincenzo

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Il caso Ruby, la diciassettenne marocchina per la quale si è mosso il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi telefonando in Questura, a Milano, per ottenerne il rilascio dopo che era stata fermata per furto, tiene banco nelle sedi politiche e sui giornali per mere ragioni strumentali.

Perché non crediamo alla sincerità dei politici e dei giornalisti quando affrontano il caso di Ruby?

Per la semplice ragione che per noi lo scandalo non risiede nel fatto che abbia partecipato a una o più

feste nella villa di Silvio Berlusconi, quanto nell’abbandono in cui la ragazza viveva per colpa degli organismi preposti a vigilare sui minori.

Come ha fatto Ruby a partecipare, all’età di 16 anni, ad un concorso di bellezza, sfilando un costume da bagno sotto lo sguardo non certo paterno di tanti “intenditori”? Chi e quando ha indotto una ragazzina a scoprire che il suo corpo poteva servirle per fare soldi e carriera nel mondo dello spettacolo?

Nessuno si è preoccupato di impedire che Ruby venisse avviata sulla strada della prostituzione. Non i Tribunali dei minori, non i servizi sociali, non i “preti di frontiera”, non i giornalisti che periodicamente producono struggenti documentari sullo sfruttamento sessuale dei minori…in Cambogia e in Congo.

In Italia no, non se ne parla, non si fanno inchieste, non si grida allo scandalo per una baby-prostituta, ma solo perché ha partecipato ad una festa nella villa di Silvio Berlusconi.

Non ci va bene. Noi ci chiediamo chi protegge le Ruby d’Italia, chi le difende dalle sordide mire di chi cerca “carne fresca” da usare e piazzare, poi, sul mercato.

Il caso Ruby conferma che, in questo Paese, non esiste la tutela dei minori, ma solo l’ipocrita pretesa di essere all’avanguardia nella loro difesa imponendo, ad esempio, di coprire il viso dei minori che, per una ragione o per l’altra, finiscono sui giornali e sui telegiornali.

Abbiamo così potuto assistere alla tristissima e grottesca, insieme, visione in Tv delle immagini di Ruby che sfila, a sedici anni, seminuda ad un concorso di bellezza ma con il viso rigorosamente coperto.

Ascoltiamo, in questo modo, increduli una graziosa presentatrice televisiva annunciare, alle ore 23.45 la messa in onda di un film con la raccomandazione, “in caso di visione da parte dei bambini” della presenza dei genitori.

Ma i bambini, alle 23.45, non dovrebbero già essere a letto da un pezzo a dormire il sonno degli innocenti?

Cosa dobbiamo intendere per tutela dei minori, che questi ultimi hanno solo diritti, da quello di stare alzati la notte a vedersi i programmi televisivi, a quelli di ubriacarsi, drogarsi, fare sesso e prostituirsi?

Non sono questi i diritti che riconosciamo ai minori, che vengono ritenuti tali solo da quanti hanno rinunciato ad esercitare i loro doveri di adulti che hanno il compito di vigilare sui minori perché la loro infanzia e la loro adolescenza non si trasformino in incubi dai quali, spesso non riusciranno più ad uscire.

Il caso Ruby è un episodio di cui si dovrebbe vergognare l’intera società italiana, che dovrebbe essere preso ad esempio per rivedere le norme di tutela dei minori a cominciare dal divieto di far sfilare ragazzine, in costume da bagno, ai concorsi di bellezza perché possono attendere, se ne hanno voglia, fino ai 18 anni, sottraendole all’attenzione interessata di quanti, maschi, ritengono di poterne fare le partner per festini o meno.

Nessuno ha posto in rilievo, in questo caso, la totale integrazione di Ruby nel mondo occidentale, in quella che ancora hanno la faccia tosta di chiamare “civiltà occidentale”. Eppure Ruby è un marocchina di fede islamica, che ha buttato alle ortiche il Corano ed i vestiti per fare carriera nel mondo dello spettacolo dove non valgono le qualità artistiche ma quella di fare “buga buga” con chi può favorirla salvo, magari, ritrovarsi a fare la escort di lusso sino a quando il fisico lo consente.

E per restare in tema di “civiltà”, è di ieri l’episodio di un maresciallo dei carabinieri che uccide la figlia di 13 anni, cerca di uccidere quella di 15 anni e, infine, si ammazza, per un diverbio sull’uso di Facebook.

E’ vero, ci sono stati episodi in cui qualche pakistano ha ucciso la figlia che voleva andare a vivere con il “ragazzo”, e tutti ne hanno parlato come prova della barbarie islamica contro le donne, ma nessuno di loro ha mai ammazzato una figlia e tentato di ammazzare la seconda per Internet.

Non è un caso di squilibrio mentale. E’ la conseguenza tragica dell’impossibilità per un genitore di imporre la propria autorità ai figli.

Il maresciallo sapeva, anche per via del suo lavoro, che non aveva la possibilità, perché vietata dalla legge, di punire le figlie, chiudendole a case, dando loro uno schiaffo o, Dio non voglia, una bella sculacciata.

Ed esasperato dalla sua impotenza, incapace di imporre le sue ragioni, impossibilità di esercitare la sua autorità di padre, alla fine ha estratto la pistola e ha sparato sulle figlie “ribelli”, una di tredici e l’altra di quindici anni.

La maggior parte dei genitori si rassegnano a vedere i figli drogarsi, ubriacarsi, fare sesso, prostituirsi, se non quando se ne rendono complici, perché la loro figura ed il ruolo sono stati cancellati e sostituiti con quelli dell’ “amico” e dell’ “amica” dei figli.

Altri, viceversa, reagiscono con asprezza, a volta in modo estremo.

Non si può morire così a tredici anni, uccisa dal padre per Internet.

La tutela dei minori passa anche dal riconoscimento dell’autorità
e dell’autorevolezza dei genitori, i primi educatori dei figli, quelli che con amore li conducono per mano fino alla maggiore età, non amici né complici né spettatori passivi di quello che di sbagliato fanno i figli.

Genitori reintegrati nella dignità del loro ruolo, nella pienezza delle loro funzioni, anche sotto il profilo disciplinare, da perseguire e mandare in galera se fanno del male ai figli, ma liberi di usare la loro autorità, nei limiti del lecito e del giusto.

I genitori di Ruby si sono rassegnati dinanzi alla figlia ribelle, perché consapevoli che nella società italiana per loro non c’era altro posto che la galera se avessero preteso di imporre la loro autorità, ed oggi hanno figlia prostituta.

II maresciallo dei carabinieri non ha trovato altra soluzione che sparare sulle figlie ribelli e poi uccidersi a sua volta.

Sono due esempi della barbarie in cui è piombata una società, un tempo,civile.

Se si vuole costruire un futuro, dobbiamo allora guardare al passato, perché tutto rientri nell’ordine naturale delle cose, dove i genitori solo coloro che guidano e comandano, ed i figli quelli che seguono ed obbediscono.

Vincenzo

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Una recentissima sentenza della Corte di cassazione ha stabilito che una coppia che intende adottare un figlio non possa e non debba specificare quali siano le caratteristiche etniche e razziali del bambino.

In parole semplici, la Corte di cassazione ha sancito che debba esistere un “mercato” delle adozioni nel quale i commercianti che si spacciano per “volontari” intruppati in varie associazioni, hanno il diritto di vendere il “prodotto” che vogliono, a loro insindacabile scelta.

La decisione della Suprema Corte vuole avere un significato anti-razzista, ovvero ribadire che tutti i bambini hanno il diritto di essere adottati a prescindere dal colore della loro pelle.

Giusto. Siamo i primi a difendere questo diritto, ma non si comprende perché esso debba violare il diritto della coppia ad avere un figlio od una figlia come magari hanno sempre sognato di averli, con quelle caratteristiche fisiche che sono congeniali al loro modo di concepire i figli che per ragioni di forza maggiore non possono avere.

Non c’entra il razzismo. Se una coppia di italiani desidera adottare un bambino italiano, di razza bianca, di carnagione bianca, di capelli magari biondi, perché così lo sognavano, non perché razzisti e “nazisti”, non si comprende perché i commercianti devono imporgli di adottare un piccolo negro, certamente tenero come tutti i bambini che, però, non è adatto per colmare il vuoto di affetto che esiste in quella coppia.

La televisione si è compiaciuta di dirci che l’Italia è al secondo posto, dopo gli Stati uniti, nell’adozione di bambini stranieri, ben quattromila lo scorso anno.

C’è qualcosa che non va. Non crediamo che non esistano più nel nostro Paese bambini e bambine da adottare, ai quali dovrebbe essere data la precedenza sui bambini stranieri perché sono figli della nostra terra, perché magari già parlano la nostra lingua, perché hanno bisogno di affetto e di aiuto esattamente come i bambini negri, gialli, di altre razze e di altre etnie.

Non si può conclucare il diritto di una coppia di italiani ad avere un figlio che risponda ai loro desideri in nome dell’anti-razzismo, così che la sentenza della Corte di cassazione non risponde al senso di giustizia.

Sarebbe, viceversa, necessario aprire un’indagine sulle associazioni di volontariato che hanno monopolizzato il “mercato” delle adozioni sul piano internazionale e che hanno imposto un monopolio inaccettabile in qualsiasi Paese civile.

Chi sono questi volontari, chi li paga, come si mantengono le loro associazioni, quali sono i loro collegamenti internazionali, con quali criteri scelgono i bambini da adottare, quanto costa adottare bambini per il loro tramite?

L’anti-razzismo è un pretesto suscettibile di creare infelicità sia nelle coppie che nei bambini adottati. Ci garantisce la Corte di cassazione che un piccolo negro, sradicato dal suo Paese, sarà felice di vivere in un mondo bianco?

Ci garantiscono questi volontari che il bambino vorrà bene alla mamma bianca che parla una lingua diversa dalla sua?

Ci sembra che, in casi come questi, la prepotenza sia fatta, in egual misura, sulle coppie che vogliono adottare figli e su questi ultimi ai quali nessuno chiede il parere, nessuno si preoccupa del loro avvenire in un mondo estraneo a quello in cui sono nati.

Sarà il caso di ricordare che i bambini non sono merce da scambiare in un mercato globale, da spostare a piacimento da un continente in un altro, sono figli di una terra alla quale appartengono e nella quale dovremmo aiutarli a vivere.

Lo spettacolo di una pop star americana di dubbia moralità, miliardaria, che adotta bambini in Africa è un esempio del disprezzo verso questi ultimi, perché non avranno affetto, affidati in branco, alle varie “tate” che la cantante assumerà nel tempo, perché costei non ha tempo né voglia di occuparsi dei “figli” che acquista perché ha tanti soldi.

Magari, questi bambini cresceranno nel lusso ma a loro mancherà sempre quella tenerezza che solo una madre, anche una adottiva, sa dare e che un padre riesce ad esprimere.

I tanti mariti della pop star non avranno certo la volontà di occuparsi dei suoi figli adottati.

Sarebbe questo il modello da seguire, quello della pop star bianca e bionda che adotta bambini negri e li abbandona poi alle cure della tata di turno?

Crediamo di no. Siamo persuasi che come tutti i bambini, anche quelli adottati dalla stravagante miliardaria americana preferirebbero avere una madre e un padre dai quali essere amati e coccolati, ma ad essi nessuno ha chiesto il parere ed il consenso.

II fatto di essere il secondo Paese nel mondo nelle adozioni internazionali non ci riempie di orgoglio, ci rattrista perchè è segno di confusione mentale, di un lavaggio cerebrale, di voglia non di tenerezza ma di status sociale, di vanteria come è l’esibizione del piccolo negro portato a forza in un Paese estraneo ma prova vivente della “bontà” e dell’anti-razzismo dei genitori adottivi.

Quello dell’infanzia è un campo così delicato che non può essere lasciato all’arbitrio dei “volontari” di questa o di quell’associazione, ma che deve essere regolato dallo Stato e dalle sue leggi perché in gioco non il razzismo o l’anti-razzismo degli adulti bensì il futuro e la felicità degli adottati.

Per noi è così. Per i “volontari” e per la Corte di cassazione evidentemente è il contrario.

Una ragione in più per dire no allo sfruttamento e alla commercializzazione dei bambini per motivi di propaganda politica o per altri sui quali sarebbe opportuno aprire un’indagine giudiziaria.

Vincenzo

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