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Archive for marzo 2011

 

 

Sempre più spesso emergono episodi di violenza gratuita su bambini ospiti negli asili nido.

Non ci prestiamo al gioco al massacro della stampa che subito li ribattezza “asili dell’orrore”, perché l’orrore non c’è, sostituito dall’indignazione verso comportamenti che non possono trovare, per l’età delle vittime, alcuna giustificazione.

Non si strattonano i bambini, non si percuotono, non si prendono a schiaffi perché nella loro tenerissima età è delittuoso usare violenza che non serve ad educare perché non comprendono le ragioni per la quale la subiscono.

Non riusciamo a. comprendere come si possa colpire, anche senza eccedere, bambini di pochi mesi o di qualche anno di età la cui vista può solo ispirare tenerezza e smorzare ogni ira.

Dobbiamo chiederci cosa accade a donne in apparenza normalissime, quando vengono colte da raptus di violenza che non sono in grado di controllare. Odio per i bambini? Pensiamo che si possa escludere tale ipotesi.

Problemi familiari, depressioni, rigetto del lavoro che fanno, non tale da generare soddisfazione ma, viceversa, frustrazioni di ogni genere?

Le cause possono essere molteplici, variare da individuo ad individuo, ma hanno poco valore se raffrontate alle conseguenze che derivano dalla violenza con la quale si manifestano.

Nessun bambino ha riportato lesioni, perché la violenza è comunque contenuta, rapportata all’età delle vittime, ma è proprio necessario far sperimentare a bambini in così tenerissima età la malvagità e le brutture della vita?

E’ un’età, la loro, in cui dovrebbe essere cullati nella illusione che la vita è dolcezza, bontà, carezze, è quel sogno che nessuno è mai è riuscito a tradurre in realtà per gli uomini.

Quel Paradiso dove il bambino è circondato da angeli che ridono quando lui ride, che lo consolano quando piange, che lo stringono fra le braccia, che lo vegliano quando dorme.

La colpa, vera di queste donne e della loro violenza è proprio quella di far conoscere anzitempo ai bambini il dolore procurato da altri, la paura, l’ansia, la comprensione che l’Eden non esiste, che alle loro braccine tese per ricevere un bacio ed un abbraccio si può rispondere con uno schiaffo che fa male, fuori e dentro.

Non si uccidono i sogni dei bambini. Magari è proprio questa riflessione che andrebbe indotta, non solo negli asili nido, in chi si occupa di infanzia, quelle che vede i nostri bambini vivere la loro favola che noi adulti sappiamo quanto breve essa sia.

Lasciamo che vivano nella loro fiaba dove la luce del giorno è sempre dorata, la mamma è bella, papà è forte, gli adulti sono angeli magari stravaganti ma tanto, tanto buoni.

Vogliamo fare in modo che fino a 3 anni di età, i nostri figli credano alla bellezza della vita ed alla bontà degli uomini?

Insieme a tutti gli insegnamenti sulla crescita del bambino, l’alimentazione, i pannolini ed i pannoloni, che sono necessari per dare benessere ai tenerissimi infanti, sarà forse il caso di impartirne un altro, quello che permetta di ripercorrere la via dei sogni che, ogni adulto ha fatto da bambino.

Riscoprire i propri sogni infantili e ricordare quanta amarezza e quanto dolore è costato vederli andare in frantumi, un poco per volta, può addolcire l’animo dell’adulto, fermare il braccio che sta per colpire, perché comprenda il delitto che sta per compiere e non vorrà che in quegli occhi che ancora lo guardano con fiducia e serenità appaia dopo la paura, il sintomo inequivocabile del sogno spezzato.

E non c’è norma del codice penale che preveda la punizione di questo delitto.

Prevediamola. Accanto ai delitti contro i beni, la morale, la persona, inseriamo quello contro il sogni dei bambini e della loro innocenza, da punire senza indulgenza.

Forse, il mondo potrà fare un passo avanti sulla via della civiltà.

Vincenzo

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Lo sapevamo. L’abbiamo sempre saputo che Yara era stata uccisa, anche se non lo potevamo affermare per non turbare i genitori ed i fratelli che, certamente, non volevano perdere la speranza di rivederla.
Nessuno può sequestrare una bambina di 13 anni, a prescindere dal fine che lo anima, e poi lasciarla in vita, con la ovvia certezza che lo potrà identificare, se già la bambina non lo conosce.
Ora, Yara è morta. Ed è iniziato lo spettacolo indegno, indecoroso ed indecente di quanti già invocano il perdono per il suo uccisore. Dal prete del paese che, sotto l’occhio delle telecamere, ricorda che contro la cattiveria bisogna lottare con la bontà, allo scrittore che ipotizza che l’assassino di Yara ha conservato il suo telefono cellulare come muta richiesta di aiuto, al padre di un bambino ucciso da Luigi Chiatti che dichiara di averlo perdonato, è partita la gazzarra per presentare l’omicida come un “malato” che, ovviamente, avrà bisogno di cure, al quale bisognerà dare il tempo di pentirsi e di ravvedersi con una pena che gli dia la possibilità di essere recuperato alla società, sempre che non lo si riconosca infermo o semi-infermo di mente.
Non sanno ancora chi sia stato a togliere con una ferocia inaudita la vita a Yara, ma temono l’emozione che il suo omicidio ha provocato e corrono, preventivamente, ai ripari.
Il prete paragona Yara a Santa Maria Goretti perché, ovviamente, una santa non può che perdonare, ma non è elevando Yara agli altari che si cancella l’orrore.
Yara era come appare: una bambina sana, forte, piena di vita e di gioia di vivere, che si è difesa con tutte le forze non per proteggere la sua castità ma la sua vita. Perché la bambina in quei lunghi, interminabili minuti di terrore ha compreso che stava per morire e ha lottato come può farlo una della sua età, con le sue forze non paragonabili a quelle del suo assassino.
Fra i tanti ciarlatani che ogni giorno imperversano in televisio ne per parlare dell’omicidio di Yara, che hanno perfino osato criticare i genitori per aver chiesto il silenzio stampa, non uno ha ricordato l’agonia di Yara, la sua paura, la sua disperazione mentre sentiva che la vita le sfuggiva.
Non uno di questi cialtroni ha posto l’accento sulla lenta agonia della bambina alla quale nulla è stato risparmiato, obbligandola a vivere la sua morte.
Neanche un estremo gesto di pietà, quello di ucciderla senza farla soffrire.
Ora, dinanzi alla possibilità dell’arresto e della condanna del suo uccisore, si cercano già le attenuanti, le giustificazioni ed il perdono da imporre ai genitori di Yara.
Fermo restando il rispetto per ogni decisione immediata e futu ra dei genitori di Yara, noi ci auguriamo che chiedano solo giustizia, quella vera che esclude attenuanti, sconti di pena, benefici di legge in cambio di ravvedimenti parolai e indimostrabili.
Sarà sempre una giustizia dimezzata, perché chi ha commesso il delitto con lucidità, consapevolezza, astuzia non meriterebbe di vivere se non nel terrore, tipico degli infami, di vedersi approssimare l’ora di salire sul patibolo.
Ma questa è la sola giustizia possibile in questo Paese in cui ha valore solo la vita dei colpevoli, mai quella degli innocenti di cui nessuno difende la sacralità, in nome di una civiltà che, viceversa, è barbarie.
L’assassino di Yara, se e quando arrestato e condannato, potrà fa re i calcoli degli sconti di pena che gli spettano per la “buona condotta” carceraria, le date in cui potrà chiedere i “permessi premiali”, le interviste che concederà per dire che non dorme più la notte per il rimorso, il rosario da mettersi attorno al collo per esibirlo alle telecamere, e via via tutto lo squallore di uno spettacolo che conosciamo da decenni, sempre disgustoso, sempre più intollerabile.
Almeno per Yara, per questa bambina che sognava una vita felice, che esprimeva la sua gioia e la sua vitalità nella danza artistica, per quel suo sorriso sbarazzino, risparmiamoci lo spettacolo miserabile della pietà per il suo assassino.
Per Yara, pretendiamo solo giustizia.

Vincenzo

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Il caso Ruby ha scatenato, per mere ragioni politiche, l’ipocrita indignazione di quanti fingono di aver scoperto che le minorenni che partecipano ai concorsi di bellezza sono oggetto delle attenzioni, non proprio paterne, di tanti uomini ai quali le “lolite” di turno piacciono, e molto.

Hanno finto di aver scoperto che buona parte delle minorenni, con l’assenso delle loro famiglie, accettano di buon grado le offerte degli uomini in cambio, se non di denaro, della possibilità di fare carriera nel mondo dello spettacolo nel quale oggi l’unico requisito richiesto ad una ragazza è il proprio corpo.

I moralisti dell’ultima ora, però, il problema lo usano solo per attaccare Silvio Berlusconi, esemplare di quella fauna miliardaria e politica che non ha mai occultato i suoi vizi privati, pacati a suon di milioni di euro.

Siamo certi che, finito il processo, di minorenni traviate ed utilizzate nei concorsi di bellezza per il piacere dei maschi, non se ne parlerà più.

Nessuno ha avanzato la proposta più ovvia, la più semplice, quella cioè di vietare per legge la partecipazione di ragazze minorenni ai concorsi di bellezza, riservandoli solo a coloro che hanno compiuto i 18 anni di età.

Di solito, sotto i 18 anni, le ragazze sono ancora studentesse, devono prendere il diploma e per farlo devono studiare, non hanno altro da fare in quegli anni della loro vita, così che bisogna salvaguardarle dal desiderio di mamme e papà di farse esibire in passerella nei concorsi di bellezza e di sognare per la carriera della soubrette televisiva o dell’attrice cinematografica.

La ragione, il decoro, la dignità non sono di casa in tante famiglie italiane nelle quali contano i soldi che le figlie belle possono guadagnare per, poi, magari diventare famose passando da un letto all’altro di quanti contano nella società.

In un paese in cui, oggi, i minorenni sono “protetti” al punto che nemmeno l’omicidio può farli finire in galera, perché ritenuti semi infermi di mente fino al compimento del 18° anno di età, nessuno pensa di proteggere le belle ragazzine dalle attenzioni degli uomini maturi e dai loro stessi genitori, facendo approvare dal Parlamento una legge che vieti, sic et simpliciter, la partecipazione delle minorenni ai concorsi di bellezza e a tutte quelle manifestazioni in cui è richiesto come unico requisito l’esibizione del proprio corpo.

Queste ragazze, le loro coetanee, potrebbero ben partecipare a concorsi di intelligenza, di cultura, in cui esibire le loro capacità intellettuali rimandando alla maggiore età la partecipazione a sfilate in cui il costumino da bagno che indossano non mette in luce le loro qualità intellettive ed interiori ma solo quelle fisiche che tante fantasie maschili sanno sollecitare.

Non basta ricordarsi della corruzione delle minorenni solo quando serve per attaccare politicamente un avversario, tolto il quale di mezzo, l’andazzo prosegue come sempre e, magari, peggio di sempre.

Bisogna intervenire con una legge che imponga quello che la ragione e l’interesse negano, la difesa delle minorenni e la loro tutela anche contro la volontà dei familiari e i loro stessi desideri di successo ad ogni costo.

Certo, si potrebbe fare altro. Ad esempio, parlare meno di Elisabetta Canalis, Valeria Marini, Manuela Arcuri, Belen, tutte bellissime donne che hanno raggiunto il successo per tutto quello che hanno mostrato, e non per capacità recitative ed intellettuali.

Si potrebbe svolgere un’ attività educativa che si estenda alla società intera e non sia solo confinata in ambito scolastico, ammesso e non concesso che oggi i docenti si preoccupino di insegnare altro che non mere nozioni.

Per poterlo fare, però, bisognerebbe cambiare tante cose in questa società, procedere a trasformazioni radicali che necessitano tempo e rigore morale.

Non rimane, quindi, altro da fare che accontentarsi di poco, del minimo che perfino oggi si può chiedere ed ottenere: porre un limite di età a quante concorrono ai concorsi di bellezza.

Sarebbe il primo, timido segnale di un’inversione di tendenza che possa preludere ad un riesame globale del problema femminile e dello sfruttamento della donna come oggetto di piacere maschile.

Vincenzo

 

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